A Monica. Inafferrabile, eterna

A vent’anni dalla sua silenziosa uscita di scena e a qualche settimana dalla sua scomparsa, ricordiamo l’eclettismo e la dolcezza unici di un talento insormontabile.

Monica Vitti (1964), courtesy of Peter Basch

«Io voglio ogni cosa.
                              Ogni cosa è nudo pensiero che ferisce.»
                                          Anne Carson, Ode al sublime di Monica Vitti

Fu per necessità teatrali che venne ribattezzata Monica Vitti; lei, ragazza riservata ma caparbia, aveva un nome più umile quando mosse i suoi primi passi sui palcoscenici romani, quello di Maria Luisa Ceciarelli. Il suo genio si palesò piano, in punta di piedi: Antonioni ne notò dapprima solamente la voce graffiata, e curiosamente dolce al contempo, scegliendola per doppiare un personaggio secondario de Il Grido. Naturalmente di lì a poco Monica divenne il cuore della tetralogia dell’incomunicabilità, che diede il via a una lunga e ricca carriera cinematografica.

Incomunicabile è l’intensità del suo sguardo, che scava delicatamente la cinepresa e lo spettatore (spesso, a detta sua, fu chiamata in scena solamente per “guardare” degli oggetti). Incomunicabile è la grazia con la quale padroneggia il profilmico, pur portando sulle spalle il peso della rappresentazione di una nuova irrequietezza femminile postmoderna.

Fotogramma da L’eclisse, Michelangelo Antonioni (1962)

Un talento che racchiude moltitudini, e svelto si scrolla di dosso l’impegno del cinema d’autore per divenire uno dei più amati volti comici in Italia. Finalmente, la commedia all’italiana ha una diva non più relegata al ruolo di bella madrina da affiancare al protagonista maschile; Monica spicca, e non solo, naturalmente, grazie al suo straordinario fascino, in uno star system da decenni prettamente maschile: diventa diva del popolo, amata da chiunque, poiché lei riesce ad impersonare chiunque con la sua arte.

Così Monicelli si accorse che poteva prendere l’angosciata Giuliana de Il deserto rosso e guardarla trasformarsi in Assunta Patanè, l’irresistibile ragazza con la pistola determinata a rivendicare il suo onore oltremanica.

Fotogramma da La ragazza con la pistola, Mario Monicelli (1968)

Nella fluidità di queste trasformazioni spicca sempre un velo di limpida vulnerabilità che Monica seppe donare ad ogni suo ruolo. Una vulnerabilità amorevole, che non degenera mai nel patetico, nemmeno nei personaggi più derelitti, capace di innescare l’empatia ma non il compatimento. Un pregio, tra gli innumerevoli altri, col quale si è guadagnata a pieno titolo un posto speciale nel cuore di ognuno di noi.

Monica Vitti (1964), courtesy of Everett Collection

Aurora Angeloni

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