a.topos: Utopia, Dystopia …

a.topos: Utopia, Dystopia e Retrotopia

Due anni di pandemia, due anni di riflessioni, due anni di persone assetate di creazione e voglia di continuare ad esprimersi in condizioni molto diverse a quelle vissute prima. E stiamo entrando nel terzo… buon anniversario! 
Discorsi e discussioni sull’evoluzione dell’arte, ma in genere della nuova norma con la quale l’essere umano dovrà vivere: l’online, il digitale, l’intangibile, il virtuale. 
Ma siamo sicuri che andrà così? Sappiamo se potremo sopravvivere in un mondo esclusivamente immateriale, distante?

Strumenti musicali, bambini che giocano a pallone, turisti che passeggiano tranquilli con un fiore in mano preso all’angolo del Ponte dell’Accademia, Campo Santo Stefano e il ricordo di Fiorella scorrono fuori dalle finestre. 
All’interno, la seconda edizione del THE CREATIVE ROOM, mostra organizzata dal collettivo Hub a.topos (Lucia Trevisan e Fernanda Andrade), in collaborazione con l’Art Incubator di Portrait e lo spazio SPARC* della Venice Art Factory, raccoglie un discorso, un dialogo tra persone con i propri pensieri e sogni rispetto al futuro, incerto, libero o inesistente.

Utopia, Dystopia – a.topos, un diario post-pandemico personale e collettivo

Doris Schamp, Hang in there!, 2021, Inchiostro indiano e gouache su carta, paper cut, vinyl wrap, 70×90 cm, courtesy of a.topos

Oona Nelson e la sua nuova natura morta, bruciata simbolicamente in nome della decadenza della nostra (di chi? noi occidentali, europei, colonialisti) civiltà; Damiano Fasso con il suo gioco in loop, una liberazione che ci obbliga al consumo; Doris Schamp con il suo equilibrio restrittivo con le linee e i collegamenti infiniti che ci uniscono e ci soffocano; Constanza Camilla Kramer Garfias e la sua evoluzione tessile, dissolta, auto-generativa; Elena Xausa e il suo antropocene quasi infantile, un gioco tra l’essere umano e il tempo; il vento di Lina Zylla, dalle sue labbra, il vetro e la pittura si uniscono e volano sospesi nella campagna italiana. Armin Amirian vuole andare oltre, sopra, in alto, leggero e tranquillo, dove i conflitti terreni non esistono, e lo spazio per il dialogo sincero si apre; Lucrezia Costa e il suo collegamento di rispetto e ciclo sintetico con la terra; Jia-Rey Chang e la sua visione orwelliana, chi è che monitora? Siamo monitorati quando pensiamo di monitorare?; Sarah Valente ci rivela uno spunto, un istante perso da noi uomini, tra le canopie, assente l’essere umano la natura fiorisce, cresce e esplode di vita e interazioni a noi sempre invisibili; Nero Cosmos ci riporta alla città, l’urbanistica morta, vuota, un’AI che crea immagini di città fantasma, un fantasma che rappresenta le nostre creazioni.

Damiano Fasso, The perfect world, 2020, Video Pal, Colore, courtesy of a.topos

E dopo così tanta distanza, isolamento e restrizioni, il contatto fisico, le mani hanno bisogno di realizzare, tagliare, modificare, strappare, così Sève Favre ci offre la possibilità di avere un’esperienza fisica e tangibile della modificazione digitale delle immagini e dei pixel, quadratino per quadratino, un puzzle che si può comporre, risolvere o dissolvere nell’astratto; per ultima, Madalena Corrêa Mendes invita il pubblico a strappare, tagliare, pacificamente e con amore, paesi, città, zona del mondo care alle persone, così lei potrà ricreare un mondo suo, fatto di paesi emotivamente regalati. Se strappassimo tutti i confini del mondo? Una fermata intensa, piena di pensieri e ragionamenti visuali, sonori, logici, emotivi in tutti i format.

Retrotopia – a.topos al naturale e sociale, personale (fino al 27 marzo)

Le prove musicali continuano, il conservatorio e i suoi studenti decorano l’aria di Santo Stefano, i gondolieri accompagnano con il loro talento vocale, irresistibile. Nel mentre, il futuro continua ad essere presente, ma questa volta rinchiuso in un bacio, in un cielo stellato, in un salotto o in cucina. Quella utopia o distopia diventa personale, entra in casa nostra e ci ospita mentre ci parla del passato, nostalgico.

Finn Theuws, Out off love, 2021, Widescreen Wiper Mechanism, teasel, courtesy of a.topos

Degann, tra noi e un fantasma qual è la vera differenza, se non la nostra percezione? Adélaïde Feriot ci mostra due cieli stellati, materializzati e indossabili da esseri umani, che regalo, che dono incredibile, poter portare e vestirsi “di cieli”. Finn Thews, che ci ricorda la tensione e l’attrazione di un bacio, così forte ma così fragile e, con le parole di un anonimo scultore veneto di grande esperienza e amante delle radici, un’artificialità di ciò che abbiamo perso dalla natura; l’essere umano che ritorna, affamato, assetato di naturalezza, di venti che ci muovano e portino a ritrovarci, a scontrarci e baciarci; poi arrivano i ricordi, la memoria, la fluidità e soggettività dei pensieri e dei collegamenti di Mário Afonso, in una Venezia con rumori, il caffé e le tazzine, San Marco e l’acqua del tè che bolle. Poi torniamo all’intimità e la malinconia, l’oppressione creativa della pandemia, l’obbligatorio rinchiudersi in studio dovendo scoprirsi nuovamente in uno spazio oppressivamente “safe”, ecco che Bernardo Tirabosco ci mostra il suo desiderio di riunione con la natura, gli odori e le forme serene così assenti di fronte agli infiniti schermi e pixel; Anna Maconi ci apre questo mondo, già curioso per tutti noi, utenti di Zoom, pettegoli, Mr. Holmes degli sfondi dei nostri colleghi nelle chiamate online, così Anna ci apre le porte, da lei bussate nel 2017 a Bielefeld in Germania, delle cucine, spazio intimo e personale, imperfetto di tutti noi. Armin Amirian si mantiene stabile, nel suo equilibrio aereo, le sue scale si mantengono mobili e tolleranti; si aggiunge a lui, seguendo il filo della nostalgia Daniela Di Lullo e la sua bile gialla e verde, la malinconia familiare a Baudelaire, ai greci, cinesi, poeti e artisti, la milza è ancora pronta a estrarre tutta la tristezza esistente nel ricordo di un’infanzia già passata e veramente dimenticata; Tanguy de Thuret riporta il suo sogno d’una notte d’estate, “alla Barocca” del 21esimo secolo, corpi dormienti, inconsapevoli del loro (im)possibile risveglio, il dottore della peste si poggia su di loro, in maschera; Veronika Dräxler non si può ridurre in parole, ma un piccolo riassunto potrebbe essere, dialogo e contrasto, Joseph Beuys, Giasone, sciamanismo, grasso e vasca da bagno – Veronika, Medea, ritualità, olio purificatore, liberazione.

Veronika Dräxler, Medea, 2021, video performance (screenshot), courtesy of a.topos

E continuiamo, con l’identità, l’interno, il mistero del sé, dell’essere, la fluidità dell’esistenza con Chiara Tubia: maschere, facce, vere, di cera, che si sciolgono col tempo, come noi esseri umani, mai stabili, mai eterni, chi siamo? E in questa intimità Fortuna De Nardo e Lorenzo Peluffo ci accompagnano nel soggiorno di uno spazio personale, ricordi e tempo eterno di immagini statiche, fermate nel divenire, lasciate durare per sempre mentre il corpo decade e rimane nel ricordo. Ultimi, David Michel Fayek ci mostra le masse in movimento, definite da mappe topografiche e meteorologiche, perché non è solo il corpo che ci muove, ma il vento, le strade, i confini e le costruzioni architettoniche che ci invitano a errare o “rivoluzionarci”.

David Michel Fayek, Decolonizing Crowds, 2021, Cyanotype print on cotton paper, courtesy of a.topos

In Fadwa Rouhana, vediamo un movimento, un’attesa del cambiamento, dello spostamento. La migrazione, così comune, così continua, ma silenziosa e ignorata: Palestina, Betlemme, Gerusalemme, movimenti, persone, pellegrinaggi, sguardi che sognano, ricordano e sperano. E in questo movimento ci accompagna Ian Callender, un punto di riferimento, continuo movimento, privato dal cambio fisico, ma solo un divenire emotivo e letterale, il mondo che scorre di fronte ai nostri occhi. Così come la vita, le persone e i nostri pensieri costantemente fluiscono, scappano per non ritornare mai.

È quasi primavera a Venezia, ma il vento la trascina, nel ricordo di un inverno appena andato via. C’è un qualcosa nell’aria che desidera scoppiare, un’emozione di risoluzione, di realizzazione. In Retrotopia ci si riflette, ci si incontra, scontra e ritrova. 

Fadwa Rouhana, Collective Memory, 2019-2020, Archival Injekt on Hahnemuhle photo, courtesy of a.topos.

Altre informazioni su: https://atoposvenice.com/ 
Social media: https://www.facebook.com/atoposvenice https://www.instagram.com/atoposvenice/

Maria-Nefeli Panetsos

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...