Immaginate di camminare per le vie della vostra città, per le stanze della vostra casa, di adagiarvi comodamente sull’erba di un parco, aprite il cellulare e spulciate qualche opera dell’artista che avete trovato qualche ora prima, non sarebbe perfetto poter vederla proprio di fronte a voi? La realtà aumentata può esaudire questo desiderio, ma fino a che punto?
Per Augmented Reality (AR) si intende quel particolare tipo di tecnologia che permette letteralmente di “aumentare la realtà” ossia aggiungere elementi ulteriori al circostante non percepibili con i cinque sensi bensì fruibili attraverso uno schermo, uno smartphone o un visore per VR (Virtual Reality) che diventano quindi gli strumenti attraverso cui noi possiamo entrare in contatto. Agli albori del suo sviluppo la realtà aumentata si limitava alla visualizzazione grafica di elementi statici, non c’era possibilità di interagire direttamente con essi, ma oggi è tutto diverso, senza ombra di dubbio l’AR è una tecnologia con delle potenzialità infinite e ancora inesplorate. Oltre all’ambito in cui più è conosciuta, ossia il mondo dei Videogame, è divenuta oggetto di studio anche in campo medico e cosa che ci interessa più di tutte ora: in campo artistico.
Ad oggi ci troviamo in un momento molto complesso per quanto riguarda il rapporto essere umano e realtà virtuale; chi ha potuto o voluto evitare fino ad ora l’incontro/scontro si è ritrovato invece a fronteggiare un problema molto limitante: l’impossibilità di spostamento e la necessità “imposta” di usufruire in modo pervasivo di dispositivi come computer e cellulari. La conseguenza logica di questa condizione è facilmente intuibile e l’arte non ha tardato a presentarsi con la sua personale applicazione della AR prima su scala molto più elitaria e successivamente con una potremmo dire “democratizzazione” della disponibilità. Il caso più interessante è quello di Acute Art, una piattaforma di AR in cui vari artisti propongono i loro progetti personali da tradurre poi in realtà aumentata, stiamo parlando di artisti del calibro di Marina Abramovic, Olafur Eliasson, Christo & Jeanne-Claude e del primo in assoluto ad aver inaugurato queste felici collaborazioni ossia KAWS.

Le opere proposte sono quindi create per essere potenzialmente possedute da chiunque scarichi l’applicazione e possa pagare la modica somma necessaria per acquistarle. Ma uno dei progetti che più ritengo pregnante, date le circostanze in cui la visibilità di questa iniziativa è cresciuta esponenzialmente, è di sicuro Wunderkammer di Olafur Eliasson. La sua produzione artistica è basata su alcuni principi molto solidi e definiti: ecosostenibilità, ecologia, analisi profonda delle dinamiche naturali che ci circondano, ricerca continua e costante con una curiosità inesauribile che spazia dal micro al macroscopico, quindi quale opera potrebbe adattarsi meglio a tutto questo se non la sua proposta per Acute Art ossia una collezione di “piccole meraviglie” (come suggerisce anche il concept iniziale della Wunderkammer) del mondo naturale come, una fra tutte, una riproduzione fedele del Sole da portare sempre con sé. Questa scelta denota decisamente un interesse importante all’ecosostenibilità assieme anche ad un altro principio che potremmo definire come “arte per tutti” con una componente educativa molto forte.
La quarantena che tutti, chi prima chi dopo, abbiamo dovuto affrontare ha di certo dimostrato la necessità di “accorciare le distanze” in tutti i modi possibili. Il museo, la galleria, la casa d’aste, il festival, tutte queste realtà hanno dovuto far fronte ad una improvvisa chiusura e mancanza di pubblico trovando quindi vari stratagemmi come mostre, aste, incontri online. Acute Art ha mostrato come si possano creare nuove possibilità e nuove frontiere per l’arte contemporanea, ma non solo, chissà come si potrebbe applicare questa tecnologia ad un lavoro di archivio o con un tour guidato attraverso il proprio cellulare; d’altronde siamo nell’epoca della riproducibilità tecnica per eccellenza. L’aspetto più interessante di tutta questa vicenda però è proprio il fatto che Acute Art abbia deciso di rendere il più accessibile possibile questa tecnologia, come dicevo prima “per tutti”, atto da non dare per scontato visto che la piattaforma collabora ormai già da anni con artisti per creare delle opere generalmente più complesse e laboriose come ad esempio il videogioco (così definito dalla stessa autrice) di Marina Abramovic Rising. Per non dimenticare pezzi importanti questa è la descrizione che si trova nel video esplicativo del sito YouTube di Acute Art:
“Marina Abramović’s Rising addresses the effects of climate change by transporting viewers to witness rising sea levels. In the artwork, viewers enter an intimate virtual space, where they come face-to-face with the artist, who beckons from within a glass tank that is slowly filling with water from her waist to her neck.
Acute Art Youtube Channel
People are invited to make contact with the virtual Abramović, and then find themselves surrounded by a dramatic scene of melting polar ice caps. Abramović urges viewers to reconsider their impact on the world around them, asking them to choose whether or not to save her from drowning by pledging to support the environment, which lowers the water in the tank. […]”
Di nuovo ci troviamo di fronte alla triade tecnologia/arte, emergenza ambientale e collettività, è infatti un’opera d’arte tecnologicamente avanzatissima che si prefigge come obiettivo quello di sensibilizzare l’“opinione pubblica” su argomenti e problematiche che affliggono e affliggeranno in proporzioni maggiori l’umanità intera come il riscaldamento globale, l’aumento dei livelli di inquinamento e lo smaltimento dei rifiuti (nonostante la presenza di protocolli internazionali come quello di Montreal per la protezione della fascia d’Ozono e quello di Kyoto). Potrà veramente una tecnologia simile aiutare da una parte l’educazione alla collettività e dall’altra proporre un modello innovativo di arte digitale? Per ora sembrerebbe una modalità molto promettente ma staremo a vedere gli sviluppi futuri.
Etienne Dal Ben