
Due orologi, al centro della parete. Sembrano confondersi con essa, solo le lancette che scandagliano le ore ne preservano la forma. Procedono all’unisono nel loro movimento, perfettamente sincronizzati, come se danzassero in perfetta intesa, con un ritmo sempre costante nel movimento. L’opera dalle connotazioni non trascurabilmente concettuali è datata al 1991, ma nonostante siano trascorsi trent’anni, chiunque abbia conosciuto l’amore può immedesimarsi nell’opera. La metafora struggente che propone Félix González-Torres rivela lo strazio della perdita, come in gran parte della sua produzione: gli amanti, nel senso letterale del termine, intesi come “coloro che stanno amando”, nel corso della relazione concepiscono la vita e il sentimento all’unisono, dissolvendosi l’uno nell’altro, pur restando due entità distinte che però il tempo è destinato a separare. Come per gli orologi, infatti, le cui lancette progressivamente tenderanno a distanziarsi, così coloro che si amano si allontanano a causa degli accidenti dell’esistenza umana.
González-Torres opera nel periodo in cui si consumava sotto gli occhi dell’inerte e perbenista società occidentale il dramma dell’AIDS, che sconvolse intere comunità, provocando un’ulteriore stigmatizzazione delle persone LGBTQ+. Lo stesso González-Torres ne faceva parte e prestò la sua voce artistica al riportare l’attenzione su un fenomeno che nonostante la sua devastante portata, si tendeva a minimizzare o, obbedendo ad una morale di rimando cattolico, si attribuiva alla scelleratezza che si riteneva caratterizzasse la vita delle persone omosessuali; non che González-Torres intendesse portare avanti solo delle battaglie sociali con i suoi lavori, quanto piuttosto dare concretizzare una forma di sofferenza che si sceglieva di ignorare, non solo fisica, ma anche emotiva, che colpiva in primis i malati, ma anche chi li affiancava. La forte componente intimistica che caratterizza la produzione dell’artista è da ricercarsi nella morte del compagno Ross a causa del virus dell’HIV, che in seguito colpirà González-Torres stesso.
La consunzione che mette in scena l’autore cubano non lascia indifferente poiché è un logoramento a cui lo spettatore non può fare a meno di partecipare: si avverte l’esigenza del coinvolgimento del pubblico nel processo artistico perché si necessita una condivisione del dolore che non può essere elaborato solo privatamente, ma richiede un’esposizione. La dimensione partecipativa, denominata in gergo “relazionale”, assume nelle opere di González-Torres un’accezione specifica. Ad essere interpellata nella sua produzione è non tanto la solitudine quanto la concezione della coppia come monade autodeterminata, che non concepisce sopravvivenza alternativa al di fuori della sua sfera esistenziale: nel momento in cui una delle due parti viene privata dell’altra, anche questa smette di funzionare, di esplicare i suoi bisogni vitali, crogiolandosi nella ri-creazione di quella dimensione, in questo caso nelle opere, per poter tornare ad esistere.
L’esposizione che fa González-Torres di sé è estremamente intima e a denunciarlo sono anche alcune sue opere che mettono in scena contesti estremamente intimi: si pensi a Untitled (Billboard of an Empty Bed) sempre del ’91, che propone il letto dell’artista e del compagno che sembra cristallizzato nel momento del suo abbandono, reperto di quell’unione che è andata dissolvendosi a causa della malattia; la stessa Untitled (March 5th#1) rievoca una dimensione quasi domestica, di solito preclusa allo spettatore, dove ad essere dominante è l’estetica del silenzio, che sembra non soltanto pervasivo in tutte le opere di González-Torres, ma allo stesso tempo estremamente eloquente.
La reverenza con cui ci si accosta alle proposte dell’artista non è connotata dal timore, bensì, dopo un iniziale straniamento, dalla naturale compartecipazione al sentimento che le domina: la forma dell’oggetto non interessa all’autore, è essa stessa testimonianza del messaggio privato e doloroso che le è dato comunicare.

L’influenza dell’esperienza artistica di Joseph Kosuth e dei suoi seguaci risulta chiaramente determinante per la comprensione della poetica artistica di González-Torres che però allo stesso tempo si spoglia della dimensione puramente intellettuale e indagativa tipica della metodologia minimal – concettuale, scegliendo di proiettarsi in un ambito più terreno e comprensibile, meno rarefatto. Per comprendere fino in fondo l’estetica dell’artista cubano è necessario non ridurlo alla pura narrazione del dato personale attraverso l’opera, in quanto ciò esaurirebbe le sue intenzioni senza definirle nella loro complessità.

È lo stesso artista, nell’intervista con Robert Storr per ArtPress nel 1995, a non definirsi un artista politico al pari di suoi colleghi come Barbara Kruger, ma è indubbio che anch’egli concordi con la necessità per coloro che praticano l’arte di prendere parte ad un dibattito attuale, se non in tutte le sue componenti, almeno in quelle che li coinvolgono personalmente. Ciò che colpisce dell’attività di González-Torres non è solo la capacità di proiettare lo spettatore nella sua dimensione più intimistica ed emozionale, ma anche aver proposto una narrazione della comunità omosessuale meno provocatoria ed esplicita, non per evitare lo scandalo, ma come invito alla riflessione del pubblico borghese che percepiva la realtà LGBTQ come estranea alle sue dinamiche quotidiane, disconoscendola e quindi disumanizzandola. Con González-Torres si rievoca una percezione corale del dolore, esperienza catartica nella modalità coinvolgente con cui l’artista la propone, e la cui mediazione tra artista e pubblico è affidata all’opera stessa.
Sono passati più di trent’anni dall’esposizione di quei due orologi al MoMa di New York ma chiunque abbia amato e perso può rivivere il ricordo di quel dolore nella frase con cui Félix González-Torres accompagna l’opera: noi esistiamo, così come esiste la ferita causata dal nostro, dal vostro dolore. Siamo un prodotto del tempo che ci ha visto amarci ed esistiamo. Ora. Per sempre.
«Don’t be afraid of the clocks, they are our time, time has been generous to us. We imprinted time with the sweet taste of victory. We conquered fate by meeting at a certain TIME in a certain space. We are a product of the time, therefore we give back credit where it is due: time. We are synchronized, now and forever. I love you.»
Maria Giuseppa De Filippo