Una storia di due mondi: Chagall al MUDEC tra radici ebraiche e sensibilità europea.

Attraversa il Novecento sfiorando tutte le correnti artistiche più importanti, senza aderire esplicitamente mai a nessuna, lasciandosi influenzare dal clima delle Avanguardie e della Scuola di Parigi, ma senza mai sostituire la militanza artistica alla sua ricerca personale, sognante, autentica. Artista dall’anima lacerata, in perenne fuga per tutta l’Europa, fino agli Stati Uniti, in un esodo a cui sembra essere destinato dalla storia a causa delle sue origini ebraiche, Marc Chagall rimane una delle voci più interessanti e complesse del XX secolo. Ed è a questa complessità che il Mudec di Milano vuole rendere omaggio, con la personale a lui dedicata, Marc Chagall: una storia di due mondi, realizzata in collaborazione con l’Israel Museum di Gerusalemme, inaugurata il 16 marzo e aperta al pubblico fino al 31 luglio. La mostra si pone come obiettivo una riscoperta dell’opera dell’artista bielorusso attraverso le sue opere di illustrazione grafica (l’attività di illustratore è importantissima per Chagall, e spesso da questi preferita anche alla pittura in diversi momenti della sua carriera), in un’ottica interpretativa che vuole ricondurne la ricerca artistica alla sua identità di ebreo hassidico originario dell’Europa orientale. Da qui la scelta curatoriale di includere nella mostra oggetti e strumenti della liturgia ebraica, onde meglio contestualizzare i simboli propri dell’immaginario dell’artista, e comprendere senza equivoci i significati nascosti nella sua personale iconografia.

Nato nel 1887 in una comunità ebraica presso la cittadina di Vicebsk (all’epoca situata all’interno dell’Impero russo), durante un pogrom (ovvero una repressione violenta degli ebrei di natura popolare, ma spesso con il consenso delle autorità, praticata sovente in Russia tra il XIX e il XX secolo), Chagall viene alla luce in una realtà di oppressione e sradicamento. Eppure, l’infanzia all’interno del villaggio ebraico, lo shtetl, da lui considerata tutto sommato felice, si insinua con forza nei temi dei suoi lavori, molto più di quanto riusciranno a fare gli orrori della storia, a dimostrazione delle ferme radici culturali e identitarie dell’artista. Ciò è vero in maniera particolare per la sua attività grafica, come dimostrano le illustrazioni dei suoi ricordi di bambino nella serie Ma vie, presente tra le opere in mostra.

Nello stile di Chagall non è solo ravvisabile un’espressività tipica dell’infanzia, nelle figure ingenue, sospese, e negli animali onnipresenti, ma anche una tensione della composizione, volta a far convivere sulla tela simboli diversissimi tra loro, europei, ebraici, cristiani, cubisti, primitivisti. Una tendenza a ricucire nell’arte frammenti di un’identità che fin dalla fanciullezza soffre l’assenza di una possibilità di conciliazione, ed è confinata nel ruolo di capro espiatorio assegnato alla cultura ebraica. Chagall mostra un pensiero conflittuale anche nell’interpretazione di quest’ultima, almeno per quanto concerne i dettami del rabbinato: nella comunità hassidica di cui la sua famiglia fa parte, infatti, ci si propone di seguire i precetti all’insegna della partecipazione entusiastica, della gioia e dell’emozione, contro il rigido razionalismo della classe rabbinica. Il modo di guardare il mondo impartito dallo Hassidismo influenza moltissimo la visione di Chagall, come si percepisce nella predilezione per i colori vivaci e per le scene quasi bucoliche, che esprimono un fortissimo senso di intimità e quiete domestica anche quando esplicitamente a tema religioso.

L’artista si fa interprete di questa visione gioiosa, però, non solo grazie al suo background culturale, ma anche a causa di un’estrema sensibilità personale che gli impedisce di dipingere in maniera esplicita le atrocità subite dal suo popolo (non si cimenta mai in una raffigurazione dell’Olocausto); questo non vuol dire che sia propenso a una negazione di quel destino di dolore e sopraffazione, ma è solo attraverso i simboli che Chagall è capace di urlarne la condanna. Il più importante di questi è sicuramente la capra, personaggio presente in moltissime opere. Animale sacrificato alle divinità più disparate nel corso della storia, la capra viene spesso paragonata al popolo ebraico da scrittori e poeti ebrei (a esempio Saba o Agnon), e Chagall la usa come monito per lo spettatore che sia tentato di farsi rapire dall’atmosfera onirica delle sue tele.

Altro simbolo ricorrente è il violino, anch’esso legato all’immaginario culturale ebraico, e in particolare alla necessità di doversi sempre tener pronti a fuggire. Strumento musicale leggero e compatto, è ideale da portare con sé in caso di bisogno.

Forse però sono proprio le conseguenze di un destino legato all’esodo a costituire il tema principale delle opere di Chagall, manifestandosi sotto forma di un senso di eradicazione, di perdita di contatto con la terra e le proprie radici. Lo si nota nella rappresentazione delle figure umane, in levitazione perenne, che non riescono a posare i piedi sul pavimento. Sospese come la loro identità, costretta a slacciarsi in breve tempo da ogni legame precario che gli eventi le impongono di creare. Volare è uno dei sogni dell’umanità, e un corpo in volo nel panorama onirico occidentale è spesso associato alla libertà, al sapersi svincolare dalle catene. I soggetti di Chagall ribaltano questa concezione, il loro è un volo malinconico di chi desidera ardentemente atterrare e abbracciare il suolo che gli è continuamente negato.

È ancora una volta l’attività grafica a venire in soccorso all’artista, a farsi strumento unico e privilegiato di conciliazione tra le sue molteplici influenze culturali e iconografiche, a permettergli il ritrovamento delle radici. In particolare, sono le illustrazioni della Bibbia, anche queste esposte al Mudec, a incarnare la summa degli elementi della sua ricerca sull’immagine. Considerato il libro preferito, Chagall soffre la mancanza di una prospettiva ebraica nelle innumerevoli rappresentazioni del testo sacro, e dunque accetta entusiasticamente l’incarico di illustrarne le tavole, commissionatogli dall’imprenditore e gallerista Ambroise Vollard negli anni ‘30 (che gli aveva assegnato negli anni ’20 anche molti lavori grafici relativi a opere di narrativa, come per Le anime morte di Gogol o per le Favole di La Fontaine). L’amore verso la Bibbia è tale da spingerlo a compiere nello stesso periodo un viaggio in Palestina con la moglie e musa ispiratrice Bella Rosenfeld, protagonista dell’ultima serie di illustrazioni presente in mostra, quella dei suoi libri di memorie, Burning Lights e First Encounter.

Marc Chagall, Davide e Betsabea, Disegno per la Bibbia pubblicata su “Verve” (nn. 33-34), 1955, china, inchiostro acquerellato, gouache e acquerello su carta. Donazione di Ida Chagall, Parigi. Photo © The Israel Museum Jerusalem, by Laura Lachman

Il bambino dai ricordi felici circondati da una nube d’orrore, il marito devoto e affettuoso, l’artista cosmopolita per costrizione e per vocazione, il sapiente domatore dei simboli: queste alcune delle mille sfaccettature di Marc Chagall. Lasciando per un momento da parte le grandi tele e avvicinandosi ai disegni e alle tavole illustrate, lo spettatore ha finalmente l’occasione, visitando Una storia di due mondi, di scoprire il lato intimo e autentico dell’artista che forse più di ogni altro personifica gli sconvolgimenti e le contraddizioni del Novecento.

Dionisia Matacchione

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