Sotto la curatela di Cecilia Alemani la Biennale sceglie di dare particolare rilievo sia alle artiste che alle persone queer. Questo va un po’ a tamponare la lacuna di cui storicamente ha sofferto la Biennale, che arriva ad avere un’esposizione collettiva di artiste femministe solo nel 1978 (a 83 anni dalla prima edizione) con Materializzazione del linguaggio, la mostra sulla poesia visiva curata da Mirella Bentivoglio ai Magazzini del Sale. Se nel 1971 Linda Nochlin scriveva la pietra miliare della letteratura femminista Why Have There Been No Great Women Artists?, nel 2022 la Biennale si accorge che in realtà le donne artiste ci sono state eccome, e – incredibile ma vero – ci sono tutt’ora! Così si cerca di riparare con quella che i tabloid hanno chiamato “la Biennale delle donne”. E intanto Taiwan è costretta a cambiare l’esposizione prevista per il suo Evento Collaterale Ufficiale perché un video postato anonimamente su Facebook riprende l’artista Sakuliu Pavavaljung nell’atto di stuprare una ragazza diciannovenne.
Comunque, se non ci sono mai state artiste donne (o vogliamo chiamarle artiste-donne, figure ibride e mitologiche), figuriamoci artist* queer! E invece la Biennale cerca anche qui di riscattarsi, presentando una serie di artist* che riflettono su identità fluide, nuove possibilità di riproduzione e approcci all’erotismo che evadono dalla eteronormativa.
Padiglione Austria
Invitation of the Soft Machine and Her Angry Body Parts è suddiviso in due atti, anzi, è un atto doppio di Jakob Lena Knebl (Baden, 1970) e Ashley Hans Schierl (Salisburgo, 1956), partner nella vita e nel lavoro. Lo spazio è diviso da un doppio colonnato in due sezioni, ognuna dedicata ad un atto, ciascuno realizzato da un artista. I due artisti parlano di genere e di identità con grande ironia, ma allo stesso tempo rivolgendosi a tematiche fondamentali della teoria queer. Quelli di Knebl e Schierl sono concepiti come “spazi del desiderio”, i quali svelano il meccanismo co-produttore di identità e il ruolo del desiderio e dell’esperienza sensoriale all’interno di questo contesto. Riflettendo sull’idea di “liberazione” dalle convenzioni, i due artisti aprono spazi che gli spettatori possono vivere attraverso il gioco, diventando protagonisti dell’ambiente scenico. Da un lato vediamo una riflessione sul concetto di identità e la sua trasformazione nell’era contemporanea, mutata nella sua morfologia dai meccanismi di inclusione ed esclusione della società umana. Dall’altro, continua a delinearsi un’identità ibrida, tra il teatrale e il reale, carnale e iper-corporea.
Giardini della Biennale
C. Giazzo, 30122 Venezia

Padiglione Paesi Bassi
When the body says Yes è una riflessione queer, non binaria e policulturale sul consenso e sul potere dell’intimità nell’epoca contemporanea. Per il padiglione dei Paesi Bassi bonajo presenta una videoinstallazione che coinvolge un gruppo di persone queer nella ricerca di nuove possibilità sessuali e sentimentali, esplorando il significato che i nostri organi genitali hanno per noi e per gli altri, l’auto-espressione come forma di guarigione, il modo in cui la matrice del nostro corpo invia e riceve informazioni di vicinanza e tatto e come ciò prenda vita mediante diverse strutture linguistiche. bonajo vede nell’esplorazione del concetto di intimità una possibile soluzione alla solitudine e all’isolamento tipici della società contemporanea.
La scenografia crea un’atmosfera di morbidezza e sensualità; un rifugio ammortizzato dal mondo esterno dove i visitatori possono scoprire il proprio “linguaggio tattile” e riflettere sul significato del tatto e dell’intimità in relazione al proprio corpo.
Chiesetta della Misericordia
Campo de l’Abazia 3550, Venezia
Ingresso libero

Padiglione Portogallo

Pedro Neves Marques racconta le tematiche queer attraverso una metafora che utilizza la figura del vampiro per affrontare questioni come l’identità di genere, la famiglia non nucleare, la riproduzione e il ruolo della salute mentale ai nostri giorni. Vampires in Space è un’installazione narrativa, che utilizza film, poesia e un allestimento immersivo.
I vampiri, immortali ma costretti a vivere nel buio, nell’idea di Pedro Neves Marques intraprendono un viaggio nello spazio, per raggiungere un lontano pianeta in cui finalmente sarà sempre buio, in cui non sarà più necessario nascondersi dalla luce. Con questo esercizio retrospettivo fantascientifico Pedro Neves Marques concettualizza la propria esperienza trans non binaria, concretizzando anche una forte critica politica alla storia del controllo sui corpi e sul desiderio.
Palazzo Franchetti
S. Marco 2847, Venezia
Ingresso libero

Padiglione Nuova Zelanda
Micro-ecologie delle isole polinesiane, diritti queer, intersezionalità e decolonizzazione sono i temi esplorati dall’artista Yuki Kihara nel suo progetto Paradise Camp. Nel suo lavoro, Yuki Kihara approfondisce le complessità delle storie postcoloniali nel Pacifico e mette in discussione il western gaze restituendo un punto di vista indigeno, più specificatamente quello della comunità Fa’afafine (una comunità dell’arcipelago delle Samoa che concepisce una terza identità di genere non binaria), a cui appartiene. Come prima artista neozelandese a presentare alla Biennale Arte ad essere allo stesso tempo Pasifika, asiatica e Fa’afafine, Kihara esplora le relazioni tra Sāmoa e Nuova Zelanda da una prospettiva Fa’afafine, evidenziando le questioni chiave intorno all’impegno sociale, politico e culturale in corso della Nuova Zelanda con il Pacifico.
Paradise Camp presenta una serie di dodici tableau fotografici a colori saturi che ricostruiscono dipinti di Paul Gauguin e un “talk show” in cinque episodi in cui un gruppo di fa‘afafine commenta brillantemente alcune opere dell’artista francese, il quale, oltre ad essere uno dei più grandi esponenti del post impressionismo di fine Ottocento era anche un pedofilo colonialista. È infatti documentato che nei suoi viaggi in Polinesia del Sud, Gauguin sfruttasse la sua posizione di occidentale privilegiato per ottenere quante più libertà sessuali poteva garantirsi, e che le sue meravigliose opere del periodo polinesiano testimonino lo sguardo feticizzante e le diffuse fantasie misogine dell’Europa coloniale di fine Ottocento sulle donne polinesiane. Con Paradise Camp, Kihara restituisce il potere dell’autorappresentazione e autonarrazione alle comunità indigene polinesiane.
Arsenale della Biennale
Campo de la Tana 2169/f, Venezia

Claude Cahun, Suzanne Malherbe: I Owe You

Uscendo fuori dal circuito Biennale, scopriamo un’incredibile mostra alla Galleria Alberta Pane che ripercorre la carriera artistica di Claude Cahun. La mostra raccoglie documenti, fotografie e libri dell’artista, esponente del Surrealismo, il quale è tra i primi ad affrontare la tematica di un genere fluido, non binario, in continua ridefinizione tramite fotografie, performance e travestitismo. Nel 1918 si innamorò Marcel Moore, con cui strinse un sodalizio artistico che durò per tutta la loro vita. La mostra racconta la loro vita insieme e la loro produzione artistica. Nonostante in Italia si faccia ancora fatica a raccontare l’esperienza delle persone non binarie anche quando si tratta di figure storicizzate e ormai consolidate nell’ambiente artistico, questa mostra costituisce un tentativo di sintonizzarsi con le realtà del nostro presente e dargli visibilità in modo sincero: sta a voi decidere se siamo di fronte ad un tentativo riuscito o meno.
Laura Cocciolillo