Vecchie conoscenze alla Biennale. Carla Accardi nel Padiglione Centrale dei Giardini

Nel Padiglione Centrale della 59. Biennale d’Arte di Venezia quattro opere di Carla Accardi, artista alla sua quarta presenza in Biennale.

La Biennale di Venezia è un’occasione per fare esperienza delle ultime novità dell’arte e delle nuove frontiere di ricerca dei professionisti del settore. Oltre a ciò, quest’anno, nel Padiglione Centrale ai Giardini è possibile conoscere e riconoscere artisti (ma principalmente artiste, visto che quest’anno la partecipazione femminile è al 90%) che hanno fatto la storia dell’arte del secolo scorso. 

Tra queste compare, con quattro opere, Carla Accardi (Trapani, 1924 – Roma, 2014) detta anche “la Signora dell’Astrattismo”, la cui prima partecipazione alla Biennale di Venezia risale al lontano 1948. In quegli anni la pittrice faceva parte di Forma 1, un gruppo artistico romano che si dedicava alla ricerca astrattista autoproclamandosi formalista e marxista.

La Biennale del 1964

La partecipazione più ricordata di Carla Accardi alla Biennale di Venezia è sicuramente la celebre edizione del 1964, che ha consacrato in Europa la Pop Art americana, attraverso l’assegnazione a Robert Rauschenberg del Leone d’Oro.

Carla Accardi alla XXXII Biennale di Venezia del 1964 con Gastone Novelli, Robert Rauschenberg, Michele Cascella e Giuseppe Santomaso © Archivio Accardi Sanfilippo

La Biennale di quell’anno è stata per la carriera della pittrice un momento importante perché per la prima volta le è stata dedicata una sala personale, (ed è anche stata la prima occasione in cui una sala veniva interamente destinata ad un’artista italiana!). 
Quell’anno Accardi ha esposto dieci dipinti appartenenti agli anni 1954-1964 accompagnati da un testo di presentazione scritto da Carla Lonzi, critica d’arte e poi compagna di militanza femminista, amica fidata dell’artista.
Lonzi per prima ha colto nel lavoro di Accardi il problema del tempo, della ‘durata’, affermando che la sua produzione avviene in relazione a «una particolare funzione del tempo nell’organizzazione spaziale dei segni», dando così una prima lettura originale e più aderente rispetto alle altre sue contemporanee, che la inserivano nella corrente Informale, in cui lei non si riconosceva.
Ultima presenza alla Biennale prima di quella attuale risale al 1988, in cui ha esposto dipinti di grandi dimensioni realizzati su tela grezza. 

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Tre quarti di secolo dopo la prima Biennale di Accardi, i quattro dipinti in mostra voluti da Cecilia Alemani si trovano nel Padiglione Centrale, in una sala tra le opere di Sonia Delaunay, Jaqueline Humphries, Sara Enrico e Vera Molnar. 
Tre di questi dipinti sono su tela, mentre uno (Senza titolo, 1967) è realizzato su sicofoil, una plastica usata come superficie pittorica. In quest’ultimo Accardi stende pennellate ripetitive verde fluo sul grande foglio di plastica trasparente con cui inizia a sperimentare dalla metà degli anni Sessanta.
Questo nuovo mezzo le consente di ottenere una pittura più luminosa e cangiante, che l’artista enfatizza utilizzando colori brillanti stesi con il suo tipico tratto ondulato, come quello visibile in mostra (vedi figura sottostante).

Exhibition View: Carla Accardi, Senza Titolo, 1967, vernice su sicofoil. ©Archivio Accardi Sanfilippo

Le altre tre tele appartengono al periodo di produzione prima e dopo le sperimentazioni su sicofoil. Su queste opere Accardi traccia un segno sottile e aggrovigliato che si staglia su un fondo monocromo da cui risalta il tratto principale, generando un contrasto luminoso (come in Verdi Azzurro o Assedio Rosso).

Exhibition View: Carla Accardi, Verdi Azzurro, 1962, tempera alla caseina su carta applicata su tela. ©Archivio Accardi Sanfilippo
Exhibition View: Carla Accardi, Assedio Rosso n.3, 1956, smalto su caseina su tela. ©Archivio Accardi Sanfilippo

Può sembrare una scrittura, un insieme di grafemi, ma la pittrice ha sempre preso le distanze da questa interpretazione. A tal proposito Palma Bucarelli nel 1983 ha scritto: «Secondo l’artista il segno non è nulla di definito in sé, non si dà come entità singola e autonoma, come sigla o simbolo, ma è piuttosto una traccia visibile che fa parte di un’intera dinamica dell’immagine». 

Negli anni il segno di Accardi si fa sempre più grosso, fino ad occupare l’intera tela. Un esempio si ha con l’opera in mostra Collisione dei tempi del 2011 in cui segni rossi e neri ingranditi campeggiano su un fondo rosa.

Exhibition View: Carla Accardi, Collisione dei tempi, 2011, vinile su tela. ©Archivio Accardi Sanfilippo

Il motivo per il quale Cecilia Alemani abbia scelto Carla Accardi come tappa del percorso all’interno del Padiglione Centrale è insito nella volontà della curatrice di dare vita ad una Biennale d’Arte che si faccia carico delle novità contemporanee mantenendo però uno sguardo sulla eco che le artiste del passato hanno ancora sul presente. 
In questo modo una pittrice come Carla Accardi trova un nuovo spazio di interpretazione come ponte tra i guazzi di Sonia Delaunay (1885-1979), che ha usato tonalità contrastanti per ottenere un dinamismo cromatico simile a quello dei pixel di un’immagine digitale, e i quadri tipografici di Jacqueline Humphries (1960), che recupera segni e linguaggi dal mondo digitale per trasmettere un senso di ambiguità, tutto in un grande connubio di sperimentazione dinamica del segno pittorico.

Un’ulteriore conferma della coerenza ricercata da Alemani proviene dalla relazione con la sala successiva, che è una delle cinque “Capsule del Tempo” (l’idea della curatrice di questa Biennale è stata infatti quella di creare: «“Capsule del Tempo”, che riuniscono opere d’arte e oggetti provenienti da diverse aree geografiche e movimenti dal XIX secolo in poi, per fornire ulteriori strumenti di approfondimento e introspezione sui temi proposti») in cui sono esposte opere di artiste dell’Arte Programmatica e dell’Arte Cinetica, tra cui Nanda Vigo, Dadamaino e Marina Apollonio. 

Exhibition view: Carla Accardi, Assedio Rosso n.3, 1965, dalla sala dedicata alla Capsula del Tempo sull’Arte Cinetica in cui si vedono opere di Nanda Vigo (centro) e Dadamaino (parete), ph. Margherita Caselli
Exhibition View: Capsula del tempo dedicata all’Arte Cinetica con opere di Nanda Vigo (al centro) e di Marina Apollonio (pareti), ph. Margherita Caselli

L’opera di Accardi, infatti, è stata più volte accostata alle tendenze Optical e cinetiche per l’effetto ottico generato dai suoi tratti fluo e contrastanti su fondi colorati o sulla plastica trasparente. 
In questo modo i dipinti dell’artista si inseriscono alla perfezione tra le tendenze optical storiche e le nuove visualizzazioni dinamiche digitali, all’interno del percorso espositivo ideato da Cecilia Alemani, che ottiene così un senso di continuità storica nella ricerca e rappresentazione del segno pittorico.

Margherita Caselli

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