ReA! alla fine della fiera

Si è da poco conclusa la terza edizione di ReA! Art Fair, fiera d’arte indipendente di Milano, che si pone l’obiettivo di promuovere il panorama artistico emergente attraverso la creazione di una piattaforma inclusiva, nella quale gli artisti possano trovare facile accesso, ed entrare in comunicazione con un mondo elitario e spesso difficile da aggirare come quello del mercato dell’arte contemporanea.

Le organizzatrici stesse – Maryna Rybakova, Pelin Zeytinci (le fondatrici), Chiara Gatto, Maria Paola Cavallo, Beatrice Dezani, Elisabetta Roncati e Orsolya Doczy – insieme alle curatrici – Laura Pieri, Maria Myasnikova, Paola Shiamtani, Milena Zanetti, alle quali si sono aggiunte Erica Massacessi e Vittoria Martinotti – sono tutte giovani professioniste under 35, provenienti da background artistici differenti, ciascuno dei quali necessario alla buona riuscita dell’intero progetto. La giornata inaugurale di giovedì 13 ottobre, ha permesso al pubblico invitato di conoscere meglio il team che dal 2020 lavora dietro ReA! Art Fair, e i criteri che hanno orientato le scelte espositive e curatoriali. Tra gli aspetti più interessanti è sicuramente presente quello di aver mirato alla creazione di un modello espositivo innovativo: una realtà ibrida tra mostra, degree show internazionali e fiera d’arte di cui la dimensione curatoriale ne costituisce l’ossatura portante. Ed è così che il grande open space che accoglie i visitatori all’interno delle ex Cisterne della Fabbrica del Vapore, si presta perfettamente alla natura espositiva della fiera, pensata proprio nei termini di un’unica grande mostra organica nella quale le opere possano dialogare tra loro; un dialogo reso possibile nonostante l’estrema varietà di linguaggi e medium impiegati, e tematiche socio-politiche affrontate all’interno di ciascun lavoro. L’eterogeneità rende ReA! Art Fair un momento unico, non solo per la possibilità di esperire una pluralità di tecniche artistiche (dalla pittura alla fotografia, dalla scultura alla performance, dalla Digital Art alla Street Art, agli NFT), ma anche perché permette ad artisti emergenti italiani e internazionali di entrare in contatto gli uni con gli altri, favorendo un confronto proficuo, generato dalla storia personale e territoriale di ciascuno di loro. Varcando l’ingresso di ReA! Art Fair lo spettatore viene accolto dalle prime opere collocate all’interno dell’atrio, luogo che funge da raccordo dei diversi spazi e nel quale le persone si fermano per chiedere informazioni o semplicemente per parlare tra loro. Nel mezzo del disordine e del caos generato dal passaggio del pubblico, Strumento (2022) di Alessandro Cavallini (2000) costringe tuttavia a fermarsi, incuriositi dalla singolarità dell’opera. Il fruitore viene invitato a raccogliere del pesto da una pentola con il pane. L’azione della “scarpetta” circoscrive la dimensione ontologica della socialità portando il pubblico a condividere un gesto, un momento d’intimità con altri sconosciuti che insieme a lui si trovano riuniti in un cerchio, in una dimensione collettiva e dal tratto familiare. Cavallini richiama così lo spettatore a una dimensione di raccolta e condivisione contro la naturale dispersione dell’ambiente circostante. 

Alessandro Cavallini, Strumento, 2022, exhibition view, courtesy of Francesca Lazzarin

L’aspetto del coinvolgimento attivo dello spettatore è una componente molto forte all’interno della fiera, un coinvolgimento che, se in Cavallini si carica di valenze sociali e critiche, nel caso di Alice Capelli (1997) intende scuotere a livello emotivo. Al piano superiore, l’artista invita lo spettatore a percorrere l’ambiente generato dall’installazione Corpo Sociale 1 (2021) composta da una struttura in ferro (che ricorda quella di uno stendino) sorreggente un telo variamente dipinto. L’opera ricorda l’atto dello stendere le lenzuola, un gesto intimo e personale che nello spazio espositivo sceglie di aprirsi alla dimensione del pubblico contaminandosi della presenza dello spettatore e avviando una riflessione sul significato del corpo, la sua interazione con il mondo esterno e i segni che inevitabilmente queste esperienze lasciano su di esso. 

Alice Capelli, Corpo Sociale 1, 2021, courtesy of the artist 

Il coinvolgimento emotivo in alcuni casi si carica anche di valenze ludiche e di gioco, come nell’installazione Sa Sùrbile proposta da Federica Murittu (1996) e attivata durante i giorni di fiera da alcuni bambini che inconsapevolmente si sono resi protagonisti di un rituale magico e scaramantico. Rifacendosi ai miti e alle leggende della tradizione orale sarda, Murittu elabora uno stratagemma in grado di allontanare il male e creare una forma di protezione verso le generazioni prossime, viste come fondamento del nostro futuro. L’opera si esperisce sotto forma di installazione nella quale del sale viene utilizzato per delineare sul pavimento il gioco “mondo” che attivato dalla pura innocenza infantile estende la soglia del rito fin dentro lo spazio espositivo. 

Federica Murittu, Sa Sùrbile, 2022, courtesy of the artist 

L’indagine a partire dal proprio territorio di origine accomuna diversi artisti; a partire dall’osservazione delle edicole votive presenti nei territori delle province di Napoli e Salerno, il duo artistico formato da Fortuna de Nardo (1996) e Lorenzo Peluffo (1986) propone un’indagine sui temi dell’icona femminile e del corpo all’interno dell’opera Rosa Mystica (2022). Attraverso un’estetica sovversiva e dirompente, in grado di far dialogare tra loro elementi dell’architettura barocca con luci neon simbolo della contemporaneità, il duo decostruisce e riformula nuovi templi votivi che – pur rimanendo legati alla loro funzione originaria – mettono in discussione il significato della spiritualità tra sacro e profano. 

Fortuna de Nardo e Lorenzo Peluffo, Rosa Mystica, 2022, exhibition view, courtesy of Francesca Lazzarin

Il Mare di Enea (2021 – in corso) di Cristina De Paola (1995) prende il nome da un’insenatura situata a Porto Badisco descritta nell’Eneide come il luogo in cui l’eroe virgiliano è approdato per la prima volta in Italia. L’artista avvia una ricognizione a partire da un luogo specifico, il mare, che attraverso la trasfigurazione fotografica, diventa anche luogo immaginario, protagonista di una narrazione che si carica delle storie, degli scambi e degli incontri che lo hanno contraddistinto nel tempo. Indagando un’archeologia della memoria, la serie fotografica da cui l’opera è tratta si compone di elementi prelevati direttamente in situ come la fonte di luce mostrata nell’immagine che in forma di un popolare simbolo iconografico del Salento, illumina la scena notturna. 

Cristina De Paola, Untitled, 2021 – in corso, courtesy of the artist 

Non mancano opere che sovvertono la naturale percezione delle cose in maniera spesso distorta e alienante. I soggetti delle pitture di Thomas Antonelli (1996) e di Davide Quartucci (2000) suscitano in chi li osserva un senso di dispersione e ambiguità. Non posso più stare con me (2021), Antonelli, riflette sul tema delle relazioni e della loro durata; avvicinandosi al dipinto interessante è scorgere come l’elemento femminile venga rappresentato senza volto proprio per riflettere sul processo di annientamento psicologico e completa sottomissione dell’identità comune a molte relazioni.

Thomas Antonelli, Non posso più stare con me, 2021, courtesy of the artist

In L’ora del bagnetto (Bath Time) (2022) Quartucci mostra l’immagine di un anziano signore che, immerso in una vasca, viene pulito con cura da un giovane ragazzo. Prendendo spunto dall’immaginario collettivo e dai racconti folkloristici, l’artista mira a intrecciare e offuscare i confini tra infanzia e vecchiaia, attraverso la creazione di un immaginario dai tratti ironici e ridicoli.

Davide Quartucci, L’ora del bagnetto (Bath Time), 2022, courtesy of the artist

Infine, Roksolana Rohovs’ka (1998) disturba lo spettatore attraverso il video Hunting me (2022) nel quale l’artista in prima persona assume le sembianze di un essere né umano, né animale che si aggira ripreso in notturno. La corona che indossa è la sua maschera, un artificio, che nasconde il volto. Come vittima di una realtà onirica, lo spettatore sembra trovarsi in un sogno lucido, una realtà sfocata difficile da decifrare. 

Roksolana Rohovs’ka, Hunting me, 2022., courtesy of the artist

Alcuni degli artisti selezionati per ReA! Art Fai sfruttano invece le nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, la modellazione e la stampa 3D, per proporre una lettura nuova alla realtà. Ognuno di loro le declina e le modella a seconda della tematica che vuole affrontare nella propria opera; gli artisti contemporanei, e a maggior ragione artisti giovani come quelli presenti in fiera, sentono il mondo digitale come qualcosa che li tocca da vicino, qualcosa che fa profondamente parte delle loro vite e che non possono ignorare nella loro ricerca artistica. Julia Ligeza (2000) indaga la relazione tra immagine, tocco e la percezione della normalità, e le due opere che propone (rispettivamente Digital Erosion series e Tactile Automation) rientrano nell’analisi compiuta dall’artista negli ultimi anni. Le piccole sculture sono il prodotto dell’esplorazione della probabilità matematica applicata ai processi geografici e rese sculture tramite la stampa 3D, mentre il video propone modi nuovi per incorporare queste forme nella percezione quotidiana e per estendere la capacità del corpo umano. 

Julia Ligeza, Tactile Automation, 2022, courtesy of the artist 

Altri artisti invece affrontano la tematica della percezione di sé e della propria identità, utilizzando strumenti sviluppati per la tecnologia digitale come Lisha Liang (1994) che propone l’opera Dissoluzione dell’identità (2021) in cui mette a diretto confronto lo spettatore e l’intelligenza artificiale costruendo delle forme antropomorfe in cui farla abitare.

Lisha Liang, Dissoluzione dell’identità, 2021, courtesy of the artist 

Allo stesso modo l’artista Ilaria Benvenuti (1992) crea delle macchine che riproducono azioni tipicamente sessuali compiute dall’uomo ma, anche se nella forma possiamo leggere delle similitudini, l’intenzione dell’artista è completamente differente. La riproduzione di azioni prettamente umane da parte di un oggetto meccanico porta a una perdita di significato dell’azione stessa, come vediamo nell’opera esposta in fiera Sssssssss in my mind (2021). 

Ilaria Benvenuti, Sssssssss in my mind, 2021, courtesy of the artist 

Lucrezia Costa (1996) invece utilizza un oggetto meccanico per mostrare il disagio interiore e la precarietà presente in ognuno di noi, l’opera Rise into decline (2022) propone un piccolo muro di gesso posto sopra a una piattaforma vibrante che riproduce le scosse di un terremoto. Con il tempo le forti vibrazioni andranno a creare delle piccole fratture nel muro, proprio come avviene nella nostra interiorità dopo ogni situazione sgradevole che dobbiamo affrontare. 

Lucrezia Costa, Rise into decline, 2022, courtesy of the artist 

Altri artisti si concentrano, invece, sul legame dell’uomo con la natura proponendo opere che vanno dal meccanizzare la natura come Simbionte e Snusnu di un UGVs (2022) proposte da Stefano Ferrari (1996), alla proposta di nuove possibilità di relazione tra uomo e natura nell’opera Honguera del collettivo XAARCHIVE

XAARCHIVE, Honguera, 2022, courtesy of the artist 

Il gruppo crea un oggetto per facilitare la coltivazione di funghi in un ambiente domestico, mettendo la tecnologia 3D al servizio della natura, in una prospettiva futura di totale sostenibilità dell’uomo. Contrariamente Stefano Riboli (1998)  indaga la riproduzione della natura all’interno del mondo digitale, nella serie Cieli, di cui sono esposti due esempi Imbrunire e Aurora (2022), e dove egli ripropone nel concreto, sotto forma di stampa, i background celesti utilizzati nei videogiochi. 

Davide Zulli (1993) invece utilizza le nuove tecnologie, tra cui un ventaglio orografico, per trasportare il visitatore in un mondo distopico in cui la natura è un monumento all’apocalisse che potrebbe avvenire nel futuro recente, ma dove elementi digitali come un ologramma, lasciano comunque intravedere una possibilità di sopravvivenza per l’umanità.

Una delle maggiori novità di questa terza edizione di ReA Art Fair è stata infine la collaborazione con Artsted, marketplace d’arte online che propone una vasta offerta di opere sia fisiche che digitali. Presso lo spazio espositivo della Fabbrica del Vapore la società era presente con un’innovazione nel campo del commercio d’arte, una galleria totalmente digitale visitabile concretamente tramite degli speciali visori, dove acquistare opere digitally-native sotto forma di NFT.

ReA! Art Fair è riuscita a raggiungere l’obiettivo di essere ponte tra gli artisti emergenti e il mondo dell’arte: il sostegno che riesce a fornire ai giovani artisti è concreto, un “safe place” dove quest’ultimi possono sentirsi compresi avendo il supporto di qualcuno disposto a guidarli all’interno del sistema dell’arte. 

A cura di Giulia Moscheni e Chiara Ravasio

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