Dalla residenza UVA al festival Mal d’Uve

Intervista alle artiste Stefano Melissa e Margherita Mezzetti

È tra le campagne, le recinzioni e i campi coltivati che si svolge la vita a Nizza Monferrato ed è qui che l’artista Bea Roggero Fossati ed il collettivo Scania Trasporti hanno dato vita ad UVA artist-in-residence

A partecipare sono stati, tramite la selezione con open call, 11 tenants ai quali, durante il mese di luglio, è stato chiesto di progettare interventi site-specific, processuali e diffusi immersi nella realtà bucolica del territorio.

Dal 30 Settembre al 2 Ottobre 2022, per salutare le Uve che hanno guidato le loro ricerche sul campo, si è tenuto Mal d’Uve: un festival di tre giorni nel cortile dell’ex Oratorio Don Bosco, a Nizza Monferrato. Un’occasione per presentare i lavori realizzati da artiste e artisti durante la residenza estiva tra performances e live sets ma anche per celebrare la transizione stagionale. 

Il festival è stato concepito per coesistere e collaborare con la realtà locale, per trovare nuove possibilità di fruizione collettiva del territorio. Il risultato è una reinvenzione contemporanea della tradizione e degli elementi ad essa riconducibili, come abbiamo visto nelle opere di Stefano Melissa artistə di Eat me first Daddy, opera realizzata con l’utilizzo di materie alimentari, e la serie fotografica La ladra di tartufi (The truffle thief). O nella serie di Margherita Mezzetti che durante la residenza ha realizzato Careful of the wishes, installazione site-specific di quattro dipinti stampati su pvc. 

Per l’occasione abbiamo intervistato questə due artistə per capire tramite le loro opere qualcosa in più su questo territorio indagando sulla loro esperienza della residenza UVA e su alcuni dettagli della loro pratica artistica.

Stefano Melissa, La ladra di tartufi (The truffle thief), serie fotografica, 2022. Ph: Niccola de Cecchi. 

CHIASMO – Hai preso in prestito la ladra di tartufi dall’immaginario del Monferrato trascinandola via dalla campagna fino ad inserirla in uno scenario contemporaneo ed underground. Qual è lo scopo di questa figura che hai reinventato? 

STEFANO MELISSA: La speculazione immaginifica della Ladra di Tartufi è, come ogni narrazione speculativa, una potenziale e, talvolta surreale, alternativa all’ordine della realtà dominante. Nel format di una fake news, l’identità occulta e sensuale della Ladra instilla velatamente un dubbio, un timore, riguardo alla pericolosità della sua esistenza nell’economia lussuosa dei tartufi, e infonde una possibile, maliziosa curiosità nei clienti clandestini per i suoi servizi. Questa figura foreste, accompagnata dal suo human pup, offre una chiave di lettura critica e goliardica della tanto controversa quanto affascinante tradizione piemontese dei trifulau: prettamente orale, tramandata quasi esclusivamente tra consaguigni, maschi cis etero, di classe popolare, che alimenta un mercato di lusso internazionale. Avvalendosi del linguaggio pubblicitario e giornalistico, la ladra si inserisce in un canale di produzione identitaria per suggerire un ribaltamento della realtà costituita, verso una redistribuzione del potere.

Nella genealogia di questo immaginario è stato fondamentale ispirarsi ai racconti, più e meno ufficiosi, delle persone coinvolte all’interno della raccolta e mercificazione dei tartufi, incontrate personalmente durante la residenza a Nizza. In particolar modo ho lavorato sugli aspetti che rendono il mestiere della raccolta dei tartufi qualcosa di pericoloso, notturno, segreto e per lo più clandestino: nei termini in cui la ricerca e l’acquisizione di un materiale tanto effimero e prezioso non ha confini regolamentati ed espone ad un rischio di rapina, aggressione e furto dei saperi, richiedendo una performatività e un’accortezza non indifferente per un fungo, oramai un bene di lusso, uno status symbol.

Stefano Melissa, Eat me first daddy, materie alimentari, 2022. Ph: Niccola de Cecchi. 

C – Tra rave e dionisiaco il banchetto allestito per Eat me first Daddy, riprende un tema che abbiamo visto in diversi tuoi lavori, da dove parte questo interesse per la sfera alimentare e come mai finisci per tornarci spesso?

SM: I legami più significativi che ho costruito con la sfera alimentare sono nati nell’ambito familiare, nel veicolare i gesti d’affetto attraverso la preparazione di portate e banchetti celebrativi, e nel rapporto che ho avuto con il mio corpo, nell’esperire disturbi alimentari. Inoltre, non posso negare che anche gran parte della fascinazione per il materiale edibile/organico venga dalle sperimentazioni fatte con la pasta modellabile al sale, o al balsamo (anche se non edibile).

E’ a partire dalla relazione affettiva con la sfera alimentare che ho iniziato a ripensare al materiale edibile, nella mia ricerca, come mezzo potenziale per attuare dei dispositivi performativi capaci di alterare la percezione del cibo, del decoro e della dimensione installativa, per riflettere sulla modellazione del pensiero attraverso la cultura culinaria e viceversa: “buono da pensare o buono da mangiare?” si domanda Marvin Harris in Buono da mangiare.

Enigmi del gusto e consuetudini alimentari , affermando “il cibo (…) deve nutrire la mentalità collettiva prima di entrare in uno stomaco vuoto”. In questo senso anche il cibo è uno strumento di produzione identitaria, nei termini in cui definisce una profilazione di pensiero, delle abitudini, dei corpi. In Eat me first Daddy, in particolare, attraverso le qualità ludiche, plastiche, trasformiste e lussuriose proprie del materiale commestibile (materializzato in orifizi e protuberanze, umide e gommose, sostanze viscose e crostificate) e le qualità evocative del mixing musicale (tra ambient, noise, gabber e hyperpop), ho reinterpretato la dimensione di riunione celebrativa in termini di perdizione onirica, distopica e ambiguamente pornografica, in parte con l’intento di strizzare l’occhio all’economia gastronomica, a cui i nicesi sono particolarmente debitori, e al movimento tekno che ha una lunga e nota storia nelle province piemontesi.

Stefano Melissa, La ladra di tartufi (The truffle thief), serie fotografica di Stefano Camera, 2022. Ph: Niccola de Cecchi.  

C – Oltre a vedere cosa hai fatto per UVA abbiamo curiosato tra i tuoi lavori, soprattutto quelli inerenti a web e tecnologia, che rilevanza hanno questi aspetti per te?

SM: Durante la mia ricerca di tesi, BWC (Big White Contemporary) I linguaggi pornografici nella produzione culturale contemporanea, ho avuto l’occasione di indagare il web e la tecnologia informatica non solo in termini di contenuti ma anche in termini di relazione tra corpo-oggetto, virtuale-reale, codipendenza e rappresentazione attraverso il mezzo informatico. In questo processo di ricerca mi sono avvalso della pedagogia hacker del Gruppo Ippolita, di Renato Curcio e di altri autori che più o meno indirettamente hanno affrontato i medesimi discorsi sul rapporto con la tecnologia informatica, come Pietro Adamo, Massimo Canevacci Ribeiro, Paul B. Preciado, Mauro Giori, ecc. In particolar modo ho guardato al funzionamento di Grindr, allo scarto tra la profilazione social e il profilo psicologico, riconfigurando gli utenti in una dimensione surreale, in cui i contenuti sono materiali tratti dalla mostra UNRELEASED curata a C3, Milano. Riassumerei dicendo che il mio interesse verso i mezzi di comunicazione informatica sia nutrito dal fatto che rivedo, come nella sfera alimentare, nelle subculture o nei materiali pornografici, degli strumenti capaci di commodificare il corpo, i suoi comportamenti, la sua rappresentazione o identificazione, rivedo delle trasfigurazioni simboliche e delle lenti attraverso cui osservare la realtà umana.

Margherita Mezzetti, careful of the wishes, quattro dipinti stampati su pvc, 2022.

CHIASMO – Le tele fluo, tra graffiti e scenari post apocalittici che presenti ci portano a metà strada tra realtà e dimensione onirica, vediamo chiari i riferimenti alla cultura underground, ma cosa ti ispira davvero nella costruzione di queste immagini?

MARGHERITA MEZZETTI: Mi capita di notare dettagli, nella mia vita quotidiana, che sembrano svelarmi un segreto. In partenza si tratta quindi di un concetto che appare chiaro nella mente, o una sensazione nel petto, che portano, già con loro, colori e forme. Elaborando questa idea introduco un impianto narrativo sulle trame di una visione fantastica, per mettere in scena, progressivamente, una rappresentazione che ne ricomponga i contenuti, l’inquietudine, i protagonisti ed i luoghi. Che siano metafora o simulacro di quel sentimento iniziale.

Margherita Mezzetti, careful of the wishes, quattro dipinti stampati su pvc, 2022. Ph: Stefano Camera.

C – Tra i tuoi lavori che abbiamo avuto modo di vedere che sei fedele alla pittura, ma sappiamo che l’ opera realizzata durante la residenza hai combinato questa tecnica con l’installazione, era la prima volta?

MM: Già in altre occasioni mi sono servita della scultura per affiancare alcuni dei miei dipinti ed in fase installativa il risultato ha mostrato un tutt’uno di opere che dialogavano e si facevano forza l’un l’altra a prescindere dal medium. Nella serie So soft and uncompounded is this Heart of Stone, ad esempio, ritratti sfocati di un’immaginaria entità si mostrano accanto a reperti/feticci del suo stesso corpo realizzati in gesso. Pur essendo una pittrice di formazione, la coesistenza di approcci differenti rimane fondamentale al fine di investigare temi a me cari. Scopro di essere sempre più aperta e curiosa nei confronti di ogni mezzo o dispositivo che possa asservire alla messa in scena. Con Careful of the wishes è forse la prima volta in cui, pur rimanendo presente l’immagine realizzata con la pittura, il supporto pittorico scompare definitivamente.

Margherita Mezzetti, careful of the wishes, quattro dipinti stampati su pvc, 2022. Ph: Niccola de Cecchi. 

C – La tua opera in mostra si basa proprio sulla dicotomia tra la sagra originale di paese e Mal d’Uve, come nasce l’idea di questa festa alternativa e cosa sta dietro la tua reinterpretazione?

MM: Ho ricevuto la chiamata dalle ragazze di ScaniaTrasp e Bea che mi comunicavano l’idea di organizzare, come evento conclusivo della residenza un vero e proprio festival che richiamasse le atmosfere della sagra di paese, non soltanto come scelta estetica e formale ma con la volontà di collaborare con le realtà locali e far emergere nuove modalità di rete e coabitazione del territorio.  Immaginandomi un ambiente così connotato, ho deciso che le immagini che avrei costruito sarebbero state stampate su pvc, materiale che rimanda a molti degli elementi classici delle fiere locali o eventi itineranti (banner pubblicitari, tendoni di gazebo, stand, circo, coperture di camion e rimorchi…): scelta che, considerando gli sviluppi della mia ricerca, mi ha anche permesso di fondere ulteriormente la parte pittorica con i contesti di elaborazione e fruizione digitale. Non sapevo ancora dove sarebbero stati installati, finché non ho notato la struttura della giostra all’interno del cortile dell’oratorio Don Bosco. Con il suo scheletro in metallo mi è apparsa perfetta per accoglierli e, per la sua funzione, spontanea prosecuzione semantica del contenuto delle rappresentazioni che ritraggono situazioni giocose ma con un sottofondo nostalgico o di incertezza.

CHIASMO – Parlateci un po’ della vostra esperienza della residenza con Uva e dei risultati che avete ottenuto, com’è stato lavorare a stretto contatto con gli altri tenants? In che misura e come il contatto con la realtà di Nizza Monferrato ha influito sulla vostra ricerca?

MARGHERITA MEZZETTI: Confesso di essere arrivata all’inizio di Luglio con poche energie, un po’ allo stremo delle forze. Il piacevole mese di permanenza in cascina, si è rivelato quindi importante per me e non soltanto per quanto concerne la mia ricerca. Bea si era presa cura di organizzare un ambiente perfetto per l’ospitalità e per il lavoro prima del nostro arrivo. E’ stato sorprendente notare come si sia creato fin da subito un gruppo coeso, stimolante ed empatico. Ricordo una routine giornaliera fatta di pranzi e cene comunitari, consigli e critiche sui rispettivi lavori e procedimenti, nuovi modi di scherzare tra noi propri della piccola bolla in cui stavamo soggiornando e…anche un gran caldo! Insomma sicuramente ho imparato che a volte, tra una pennellata e l’altra, ci si può concedere del tempo per andare a cogliere una pesca dall’albero e darle un bel morso. 

STEFANO MELISSA: Giunta alla fine di questo percorso insieme alle tenants, sento di essere tornata da un lungo viaggio: un tour intensivo ricco di passioni, turbinii emotivi, discorsi abissali, rapporti fiorenti e relazioni morenti, complicità, condivisioni e disillusioni. Ho passato un mese, e una settimana, all’interno di una bolla generata da una combinazione delicata, parzialmente casuale ma precisa, equilibrata nella sua vivacità caotica.  E’ un’esperienza che rifarei altre mille volte, nella dimensione in cui mi ha permesso di entrare in profondità in ciò che amo e odio, dandomi l’occasione di confrontare e legare con nuovə artistə e con un territorio sorprendente, fornendomi lo spazio e la cura necessaria per sviluppare la mia ricerca in un ambiente stimolante, organizzato site specific. Seppur io stia parlando da ragazza di città e mi sia sempre vissuta il paesaggio di campagna con una certa distanza e occasionalità, in certi momenti ho pensato di non volermene più andare. Nizza M. ha ancora tanto da offrire, da scoprire o da incontrare, come la partecipazione di Stefano Camera e Nicola de Cecchi, che sono stati fondamentali per tuttə, per non parlare di tutti gli altri incontri che hanno costellato il nostro percorso alla cascina Roggero Fossati. Preziosi ricordi di cui la mia carriera terrà memoria.

Tutti gli artisti e le artiste della residenza: Federico Arani (Roma, 1995), Giovanni Blandino (Torino, 1998), Sofia Bordin (Roma, 1998), Roberto Casti (Iglesias, 1992), Ginevra Collini (Roma, 1996), collettivo Hardchitepture (2019), Gabriele Longega (Venezia, 1986), Giulia Longoni (Milano, 1999), Stefano Melissa (Milano, 1999), Margherita Mezzetti (Siena, 1990) e Niccolò Moronato (Padova, 1985). 

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