Una delle applicazioni primarie della Realtà Virtuale avviene nell’ambito dell’industria pornografica. Diversi studi accademici hanno recentemente comparato il formato bidimensionale e quello tridimensionale in VR applicati alla fruizione del porno. In particolare, uno studio del 2021 analizza le due modalità di fruizione studiando l’effetto di entrambe su alcuni soggetti femminili. Chiaramente l’impatto emotivo, la sensazione di presenza e il desiderio sessuale sono risultati ampiamente maggiori nell’esperienza in VR.
Questo risultato non sorprende affatto se pensiamo che già nel 1988 Laura Marks analizzava il rapporto tra visibilità aptica ed erotismo nei nuovi media, nella televisione e nel cinema. Se la percezione aptica è generalmente ricondotta al senso del tatto e alle funzioni cinestetiche del nostro corpo, la visualità aptica consiste in un approccio sinestetico alla percezione visiva, la quale è in grado di generare sensazioni tattili, come se potessimo “toccare con gli occhi”. Questo processo, proprio grazie alla sua qualità sinestetica, coinvolge nell’azione percettiva l’intero corpo. Nel suo saggio, Marks porta diversi esempi di questo fenomeno in videoinstallazioni di Bill Viola, Shigeko Kubota, Mary Lucier e molti altri, sottolineando che «Touch is a sense located on the surface of the body: thinking of cinema as haptic is only a step towards considering the ways in which cinema appeals to the body as a whole».
Il coinvolgimento multisensoriale del corpo dell’osservatore porta ad un’implicazione erotica del consumo dell’immagine. A questo punto, Marks definisce la “visualità erotica”: «Visual erotics allows the thing seen to maintain its unknowability, delighting in piaying at the boundary of that knowability. Visual erotics allows the object of vision to remain inscrutable. But it is not voyeurism, for in visual erotics the looker is also implicated».
La realtà virtuale materializza la visibilità aptica in una modalità quasi letterale, adottandone di conseguenza anche le implicazioni erotiche. In particolare, la rappresentazione del corpo femminile in realtà virtuale ne permette una riappropriazione da parte delle artiste ancor più potente, proprio grazie all’impatto emotivo provocato dall’immersività in un ambiente virtuale visualmente aptico.
Riappropriazione del corpo
L’artista Li Alin basa la sua ricerca sulle modalità di riproduzione tra esseri umani. Nella sua installazione in VR Enter Me Tonight (2016), lo spazio virtuale consiste in un semplice ambiente totalmente bianco, senza profondità, in cui vengono disposte delle sedie in circolo.

L’utente è invitato a sedersi al centro del circolo, e sulle sedie appaiono sette versioni clonate del personaggio DeNA.

Tramite DeNA, Alin ipotizza un mondo alternativo in cui le donne sono completamente padrone del loro sistema riproduttivo, il quale diviene sempre più artificiale ed emancipato dall’atto eterosessuale della riproduzione. Alin apre il dibattito all’utero artificiale e a metodi di riproduzioni alternativi che restituiscono dignità ai sistemi disfunzionali, i quali devono essere salvaguardati e potenziati. Questa rappresenta una forte risposta allo stigma nei confronti dei corpi sterili, che nella cultura contemporanea vengono considerati corpi privati della loro utilità, della loro funzione, e quindi corpi di second’ordine.
Nell’installazione, DeNA suggerisce di raccogliere il seme maschile tramite sistemi tecnologici di estrazione di massa e conservarlo in strutture a forma di piramide, e quindi di riassestare l’atto riproduttivo sulla base del piacere orgasmico femminile.
Per quanto estrema e distopica, la visione di Alin riflette una tendenza post-femminista contemporanea che si interroga non più sulla parità di genere, bensì sull’emancipazione totale del femminile dal maschile anche dal punto di vista riproduttivo. Potremmo ricondurre questa concezione al pensiero di Donna Haraway che, in testi fondamentali come Manifesto Cyborg e Cthulhucene, formula la possibilità di nuovi sistemi sociali, familiari e di conseguenza anche riproduttivi.
Ipersessualizzazione del corpo
Sidsel Meineche Hansen utilizza in molte delle sue installazioni VR l’avatar EVA v3.0, un prodotto royalty-free realizzato dal designer 3D freelance Nikola Dechev e venduto online da Turbosquid, una società che fornisce stock modelli 3D per videogames e pornografia.
EVA v3.0 è anche la protagonista dell’animazione CGI in Realtà Virtuale DICKGIRL 3D(X).

Tramite EVA v3.0, l’artista attua una ricerca sullo stato e la mercificazione dei corpi 3D nella produzione di immagini digitali. Meineche Hansen esplora la sovrapposizione tra soggetti nella vita reale e oggetti nella realtà virtuale, e la conseguente oggettivazione dei corpi virtuali.
In DICKGIRL 3D(X), EVA v3.0 diviene un ibrido tra una pornostar post-umana e una forma generata appositamente per la sottomissione, privata della sua identità, anzi esplicitamente realizzata senza alcun tipo di connotazione specifica proprio per impedirne l’identificazione e quindi massimizzarne la predisposizione alla sessualizzazione da parte dell’utente. EVA v3.0 è un essere virtuale che nasce esclusivamente per essere un oggetto sessuale, ma la sua natura ibrida innesca un quesito etico sulla possibilità che essa meriti una dignità diversa. Con le sue opere, Meineche Hansen stabilisce una nuova dignità per EVA v3.0, la cui connotazione sessuale diventa così uno strumento di potere nelle mani dell’avatar (e dell’artista).
Nell’ambito della rappresentazione dei corpi femminili, la Realtà Virtuale concretizza in maniera quasi letterale il fenomeno della visualità aptica, portando ad un netto incremento dell’erotismo dell’immagine. Nelle mani delle artiste, la VR diviene un potente mezzo di riappropriazione della propria rappresentazione e della propria sessualità, aprendo le porte alla visualizzazione di nuove teorie di emancipazione sessuale e riproduttiva.
Laura Cocciolillo