Jean Mitry. Tra teoria, produzione e salvaguardia

La Cinémathèque Française

Jean Mitry (1988), Revue d’histoire du cinéma, credits Vincent Pinel

Ogni anno durante le Giornate del Cinema Muto di Pordenone viene destinato un premio internazionale per la salvaguardia e il restauro dei film dedicato a Jean Mitry. Questo premio, come molti altri nel mondo, è stato assegnato allo studioso francese per diverse motivazioni. Dal punto di vista del tema della salvaguardia e del restauro è importante sottolineare che Jean Mitry (1904-1988) collaborò, nel 1936, con Henri Langlois e Georges Franju nella fondazione della Cinémathèque Française (cineteca francese), di cui si occupò anche dell’archivio. Si tratta di un istituto cinematografico privato, oggi museo, che ha come scopo quello di conservare e restaurare il patrimonio del mondo del cinema.

Esthétique et psychologies du cinéma

Jean Mitry, Esthétique et psychologies du cinéma, Paris: Èditions Universitaires, 1963-1965

Iniziamo dal dire che Jean Mitry è stato uno dei pochi teorici e critici del cinema che si occupò anche della produzione cinematografica. 
Un aspetto che interessò sia i suoi studi sia i suoi film furono le ricerche sulle pellicole sperimentali; tali studi furono raccolti nella sua più importante opera teorica, Esthétique et psychologies du cinéma, divisa in due volumi. Il primo, pubblicato nel 1963, è dedicato a Les structures, mentre il secondo, del 1965,  a Les formes. In questa importante opera,  “un autentico testo ‘cerniera’ tra passato e futuro, tra le teorie classiche e la moderna analisi del linguaggio cinematografico” (Dagrada, Mitry, Sémiologue malgrè lui, in Cinemagrafie, 1989), Mitry ha cercato, attraverso lo studio del dibattito sia teorico sia estetico del cinema, di stabilire un punto di equilibrio tra le tendenze contrapposte che si erano delineate nel cinema: quella realista, la quale privilegia la matrice fotografica presente nella produzione cinematografica, e quella “creativa”, la quale esalta gli aspetti sia riproduttivi sia artistici del cinema. In aggiunta, in quest’opera Mitry, ha costituito da una parte “una splendida summa di tutte le acquisizioni passate” (Dagrada, Pescatore, La semiologia del cinema? Bisogna continuare. Conversazione con Christian Metz, in Cinegrafie, 1989) e dall’altra si è annoverato il merito di smantellare, con argomenti solidi e inoppugnabili, molte delle idee condivise dal dibattito teorico precedente riformulandole in modo più adeguato ed in un ottica maggiormente moderna. 
Ampio spazio viene dato al tema delle immagini soggettive (argomento che occupa diversi paragrafi di importante rilievo), di cui l’autore sottolinea il carattere convenzionale: sia che mostrino ciò che viene visto da qualcuno, sia che ne svelino i pensieri, per lui esse non realizzano la trasposizione fedele di una presunta “visione soggettiva”, ma si limitano ad associare, per convenzione, ad un personaggio una rappresentazione oggettiva
Da ciò si può desumere che, per l’autore, la questione della trasposizione dei processi mentali a livello cinematografico si risolve in termini narrativi. Solamente quando parla del flashback Mitry sembra entrare in contraddizione cadendo nella stessa concezione che aveva rimproverato ad altri studiosi. 
Nonostante tale contraddizione, è possibile riconoscere due grandi meriti di Mitry: per prima cosa, grazie al suo porre l’accento sul carattere convenzionale dell’associazione che porta al riconoscimento di un’inquadratura come soggettiva, egli libera il terreno dalla tentazione di postulare un’analogia fra il procedimento e il funzionamento della memoria, osservando nella fase del linguaggio cinematografico e nella tecnica usata un oggettivazione di processi e stati interiori; in secondo luogo, egli di fatto anticipa la riflessione di matrice semiotico-narratologica, contribuendo ad una radicale riformulazione del problema della soggettività nel mondo del cinema. 

Storia del cinema sperimentale

Jean Mitry, Storia del cinema sperimentale, CLUEB, 2006 (II edizione)

L’importanza degli studi di Mitry non termina qui. Un altro suo importante intervento è Storia del cinema sperimentale del 1971. Qui egli espone la sua interpretazione del contributo che il cinema sperimentale ha fornito all’affermazione del cinema come arte autonoma. Il filo conduttore presente nel libro è il rapporto, apparentemente paradossale, tra le diverse arti e il cinema sperimentale. Quest’ultimo riesce, nella sua ricerca di un cinema puro, a realizzare le sue qualità più specifiche attraverso le strutture e i linguaggi delle altre arti (arte, musica e letteratura).

Per concludere, ciò che si può osservare dai suoi scritti e dalla sua produzione cinematografica è che la sua metodologia è sostanzialmente la stessa ed è caratterizza da un approccio al cinema in cui viene prestata attenzione sia agli sviluppi economici e tecnici, che alle dinamiche espressive e linguistiche.

Greta Da Ros

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