Il Complotto di Tirana, ovvero come beffarsi del sistema dell’arte italiana – Parte 1

Nell’estate del 2001, preparando la Biennale di Tirana, Giancarlo Politi fece infuriare Oliviero Toscani. Gli propose di curare una sezione della Biennali di Tirana. Si fidò ciecamente di uno scambio di mail con il fotografo. Peccato che il suo interlocutore non fosse il vero Oliviero Toscani.

Quando, nella metà degli anni Novanta, si diffuse a livello di massa l’uso di Internet, molti artisti videro in esso un territorio fertile per l’amplificazione delle loro attività. Le pratiche di networking, già sviluppate da tempo, trovarono un nuovo mezzo veloce e accessibile a tutti per rendere concrete diverse utopie che precedentemente sembravano inarrivabili: si potevano utilizzare nuovi canali “alternativi” per attuare percorsi creativi e di critica al di fuori di quelli dominati dall’economia di mercato, dalla politica del controllo e dall’informazione commerciale, spesso presentati nelle società occidentali come gli unici possibili (Tatiana Bazzichelli, Networking, La rete come arte, 2006). All’inizio degli anni Duemila, un episodio che in pochi conoscono si tramutò in una vera e propria beffa a livello nazionale del sistema non solo politico e sociale, ma soprattutto artistico: il Complotto di Tirana.

La Beffa

È il 4 dicembre 2000 quando Flash Art pubblica sulle sue pagine una classifica dei migliori artisti italiani degli ultimi cinquant’anni. Al quarantanovesimo posto si trova l’artista Oliviero Toscani. Una posizione non lusinghiera. Il direttore di Flash Art, Giancarlo Politi, riceve una mail dai toni molto accesi: 

«Caro direttore, il suo giornale mi fa vomitare, non è possibile che un idiota come lei possa dirigere un giornale che si reputa dedicato a un’arte senza riserve (…) Trovarmi al penultimo posto mi ha veramente disturbato, visto che credo di aver segnato il panorama iconico più di chiunque altro

Francesco Forlani, Quand les faux Toscani épatent la galerie, 2002

Firmato Oliviero Toscani. Nello scambio successivo a questa mail vendicativa, Politi propone al fotografo di curare una sezione della nascente Biennale di Tirana, che il direttore di Flash Art sta organizzando in Albania. Toscani accetta, promettendo una sponsorizzazione da parte del suo amico Luciano Benetton, per il quale ha realizzato scatti pubblicitari trasgressivi che lo avevano acclamato a livello internazionale.

Oliviero Toscani, 2001, courtesy of United Colors of Benetton

Con questo accordo, stilato via mail, prende forma l’inizio della (forse) migliore beffa mediatica italiana fino ai primi anni Duemila. Il fotografo propone quattro artisti ancora sconosciuti per la sezione a lui assegnata. Quattro personaggi che Toscani sceglie perché li reputa future stelle, anticipatori del tempo. Peccato che questi quattro artisti non esistano. E che Oliviero Toscani, quello con cui si rapporta Politi e che curerà la sezione della Biennale, non sia  il vero Oliviero Toscani. Il Complotto prende forma così, evolvendosi attraverso scambi di mail che porteranno a vere e proprie pubblicazioni, totalmente inventate, firmate Oliviero Toscani. La prima è un articolo firmato dal (falso) fotografo che racconta la storia dei quattro artisti. Il testo, pubblicato su Flash Art nel luglio del 2001, verrà anche pubblicato sul catalogo della Biennale insieme ai testi degli altri curatori. Parla Toscani (il falso) e descrive gli artisti:

I miei fantastici quattro (permettetemi l’analogia), non hanno avuto consensi esoterici. Per conoscerli meglio mi sono impegnato in viaggi che mi hanno portato dal Marocco alla Nigeria, dalla Florida al Piemonte. Come posso presentarveli qui in poche righe?

Firmato Oliviero Toscani, ma in realtà Marcelo Gavotta e Olivier Kamping, Flash Art, luglio 2001

Le quattro creature della beffa sono la nigeriana Bola Ecua, l’arabo Hamid Piccardo, autore ad Algeri di “Les enfants de Osama”, l’italiano Carmelo Gavotta e lo slavo Dimitri Bioy. Creati apposta per essere scandalosi e per sollevare proteste, ogni artista aveva il suo tratto oltraggioso, come il riferimento grottesco all’estremismo islamico fatto in relazione a Hamid Piccardo, sul quale Toscani ricorda che «Osama bin Laden lo ha proposto come portavoce della Jihad nell’arte» (Firmato Oliviero Toscani, ma in realtà Marcelo Gavotta e Olivier Kamping, Flash Art, luglio 2001). Grottesco perché dopo pochi mesi l’attentato alle Torri Gemelle avrebbe scosso il mondo e la Biennale di Tirana avrebbe aperto il 14 settembre presentando, tra gli altri, un artista appoggiato da Osama bin Laden. Sì, perché i quattro artisti arrivarono in Biennale, il complotto era ancora in piedi e nessuno sospettava niente, tantomeno Giancarlo Politi. Lo scandalo della presentazione dell’(insistente) artista Hamid Piccardo portò Maurizio Cattelan a non partecipare ad una Biennale che lo vedeva come artista di punta. La beffa continuò anche con il manifesto e il logo della Biennale ai quali il finto Toscani si propose di lavorare gratuitamente: il risultato fu una bandiera albanese distorta con un’aquila a due teste, che venne osteggiata dalle autorità locali in quanto elemento controverso in un paese e in una zona sconvolta da conflitti e in una continua guerra.

liviero Toscani, Locandina della Biennale di Tirana, 2001

Giancarlo Politi, dal canto suo, pur essendo bombardato mediaticamente dalle critiche alla Biennale, non cambiò nulla, anzi seguì le direttive di Oliviero Toscani (impartite sempre via mail) senza batter ciglio, dato che quest’ultimo minacciava di mandare tutto all’aria.

La Rivelazione

La beffa continuò per circa un anno e mezzo senza che Politi cambiasse idea o sentisse la necessità di parlare al telefono con il suo collega Toscani o incontrarlo di persona. Allo stesso modo Oliviero Toscani (quello vero) non venne toccato dalle informazioni che si stavano diffondendo in Albania su di lui. La beffa  venne “smascherata” quando il catalogo fresco di stampa venne inviato dal direttore di Flash Art all’indirizzo del vero Oliviero Toscani, che naturalmente rimase molto sorpreso. Denunciò contro un ignoto che fingeva di essere lui. 
L’ignoto aveva un nome, o meglio due: Marcelo Gavotta e Olivier Kamping, i due firmatari del ciclostilato, inviato alle maggiori testate italiane e internazionali e contenente tutti gli scambi di mail tra il finto Oliviero Toscani e Politi. Giancarlo Politi, di fronte alla beffa non potrà far altro che lodare i due, proponendogli una scrivania presso Flash Art, sostenendo che le opere dei finti artisti portati in Biennale avevano una vera valenza artistica ed erano riconducibili al genio. Ma Marcelo Gavotta e Olivier Kamping non si faranno mai vivi per riscattare le lodi, anzi, spariranno nel nulla. Anche questi nomi, d’altronde, erano inventati.

Dietro questa azione, ancora oggi poco raccontata, si nasconde un background ideologico e politico forte; l’anonimato si articola in una storia dell’arte parallela, fatta di azioni collettive e volte alla critica del sistema dell’arte, che Tatiana Bazzichelli ha sapientemente narrato nel volume Networking, L’arte come rete del 2006. 
Ed è proprio all’analisi di questi motivi che verrà dedicata la seconda parte di questo approfondimento, in arrivo su Chiasmo Magazine il 25 novembre.

Stella D’Argenzio

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