La collana dei I maestri del colore, anche a sessant’anni dalla sua pubblicazione, si presenta ancora come un unicum nel mondo della cultura e dell’editoria e un oggetto su cui riflettere, proprio come ha fatto l’artista Flavio Favelli, utilizzando le carte dorate dei Ferrero Rocher per intervenire sulle copertine dei fascicoli.

Oggi presenti, accatastati e un po’ sgualciti, soprattutto nei mercatini di libri usati, i fascicoli della collana I maestri del colore, che iniziavano a essere distribuiti nelle edicole precisamente sessant’anni fa, sono la rappresentazione più tangibile del cambiamento sociale, culturale e di mentalità in atto nella seconda metà del secolo scorso, soprattutto relativamente alla fruizione della cultura.
In un momento di grande fermento come gli anni Sessanta, anche le discipline storico-artistiche e la critica d’arte sono state colpite dalla rivendicazione di una maggiore accessibilità, sia in termini economici, sia allo scopo di creare strumenti comprensibili anche a un pubblico non specializzato, ma non per questo non meritevole di essere ricompreso tra i destinatari di progetti editoriali e culturali. Proprio al fine di concretizzare una forma di democratizzazione culturale e inserendosi nel solco di una tradizione già decennale di dispense, fascicoli e collane intese a diffondere la conoscenza dei capolavori dell’arte, i Fratelli Fabbri hanno iniziato un’attività editoriale incentrata su una forma di divulgazione ad ampio raggio, riguardante numerose discipline (arte, musica, letteratura, inglese e così via) e rivolta ad altrettante forme di pubblico (studenti, insegnanti, persone più o meno istruite).
Il progetto editoriale più significativo dei Fratelli Fabbri, I maestri del colore, consiste in una collana di 286 fascicoli, edita settimanalmente tra il 1963 e il 1967, che abbraccia un arco cronologico pari a sette secoli di storia prevalentemente europea. Al suo interno i principali storici e critici dell’arte del Novecento, quali Castelnuovo, Longhi, Previtali, Lonzi, hanno firmato testi critici approfonditi, redatti in un linguaggio semplice, in «una violenta ma necessaria apertura della conoscenza specialistica ad un largo ed interminato pubblico», prendendo in prestito le parole proprio di Roberto Longhi.
La collana si differenzia dagli altri progetti precedenti in tutti i suoi aspetti, dalla vendita nelle edicole, alla economicità del prodotto associata a una fattura pregevole e a riproduzioni di opere di ottima qualità, e, ancora, al grado di approfondimento dell’apparato critico e all’attenzione rivolta all’arte contemporanea, che solo in quegli anni iniziava a ricevere un riconoscimento accademico. Dider Fouret, l’allora direttore della casa editrice Hachette, in un’intervista per il «Corriere della sera» del 23 ottobre 1964, rivolgeva le seguenti parole di elogio all’iniziativa dei Fabbri:
La produzione della casa editrice […] sembra sia stata la creatrice di un nuovo genere di dispense e che è quella che ha prodotto il maggior numero di opere, nonché la più significativa […]. Le dispense in sé non rappresentano qualcosa di nuovo né in Italia né del resto in Francia e in tanti altri paesi: la novità […] sta nella formula delle dispense che una volta erano squallide edizioni, mentre ora sono diventate ‘parti’ di grandi opere di alto livello editoriale
L’arte entrava per la prima volta nelle case di numerose famiglie italiane e faceva tale ingresso con la mediazione di un oggetto simbolico che fungeva da vera e propria dichiarazione di appartenenza a una fascia sociale in crescita, caratterizzata da un condiviso desiderio di cultura e di benessere. Si può comprendere dunque come già al singolo fascicolo possa essere riconosciuto lo status di testimonianza storica, oltre a un pregio che lo rende ancora oggi un ottimo prodotto editoriale, forse rimasto impareggiato.
Per questi motivi, i numeri sono stati esposti presso il Museo di Arte Contemporanea del Castello di Rivara nel 2017 in un’installazione pensata come «una mostra di processi culturali: scelte editoriali come atti che, prendendo forma dall’intraprendenza e sensibilità individuale, definiscono l’atmosfera mentale di un periodo storico». La giustapposizione delle copertine, l’ordine non cronologico con cui si susseguivano gli artisti (seguendo quello delle pubblicazioni) e il rapporto con i teli rossi di supporto mettevano in costante rapporto il catalogo museale e il museo, in un dialogo volto a coinvolgere il visitatore, abituato a vedere questi fascicoli in vendita tra libri usati e non come un bene storico su cui riflettere.

A poca distanza di tempo e di luogo, nel 2022 la GAM di Torino, con la curatela di Elena Volpato, ha presentato nelle sale della Wunderkammer I Maestri Serie Oro di Flavio Favelli, successivamente entrata a far parte delle collezioni del museo. L’esposizione consiste in un’unica opera composta dai 278 fascicoli monografici della serie I Maestri del Colore, sulle cui copertine è intervenuto Favelli utilizzando le carte dorate dei Ferrero Rocher per coprire i volti o i corpi dei ritratti, i soggetti e le porzioni principali delle opere. Tale installazione continua la recente produzione dell’artista, incentrata sul tema dell’oro e della lucentezza opaca di questo materiale prelevato da oggetti di uso comune, come latte di biscotti, fondi di specchi, cartelli pubblicitari.

Sulle grandi opere d’arte l’artista stende un velo di intangibilità e impenetrabilità; tuttavia, nella maggior parte dei casi, esse sono così note che si riconoscono nonostante la torre dorata che si è costruita intorno. Favelli da un lato impedisce la vista di porzioni più o meno ampie dell’opera, dall’altro apre a una visione panottica lo svolgimento della storia dell’arte, un tributo all’avventura editoriale dei Fabbri. I fascicoli sono stati esposti in tre file ad abbracciare interamente lo spazio espositivo, andando così ad esaltare lo spirito enciclopedico sotteso alla pubblicazione della collana, in un gioco fra esposizione del sapere e continuo interrogare e indagare l’immagine. Un’immagine che, di fatti, viene coperta da una carta luccicante, dall’aspetto prezioso, ma destinata ad essere smaltita nella spazzatura e dal valore economico pressoché nullo, ma, allo stesso tempo, qui elevata ad arte nell’accostamento con I maestri del colore, ancora letti e ricercati dopo sessant’anni, dal valore economico sì ridotto, ma sociale, politico e culturale inestimabile.
Costanza Mazzucchelli