All’interno della società contemporanea, nell’affrontare la crisi climatica e il collasso ambientale, è necessario considerare la questione ecologica come fattore chiave di ogni decisione. Risulta cruciale, specialmente nel settore creativo, la presenza di professionisti sensibili al tema e rispettosi dell’ambiente, in grado di stimolare dialoghi riguardo ai problemi più urgenti dell’età contemporanea. Spesso escluse dalla narrazione tradizionale, guidata da spinte neoliberiste e capitalistiche, queste figure possono trovare un proprio spazio d’azione sulla scena indipendente.
In questo orizzonte si inserisce l’attività di Alice Bonnot, curatrice, consulente ambientale per istituzioni culturali, musei e organizzazioni artistiche non-profit, scrittrice e speaker, specializzata nello sviluppo di pratiche curatoriali e artistiche ecologicamente sostenibili. Proprio la sostenibilità può essere considerata il fil rouge dell’intero lavoro di Bonnot, che ha l’obiettivo di integrare approcci più ecologici, intersezionali ed eco-femministi al mondo dell’arte.
Con questo intento ha fondato il progetto villa villa, un programma di residenze artistiche, mostre, seminari, workshop e consulenze per supportare professionisti del settore culturale (tra cui artisti, curatori, scrittori, pensatori), impegnati nella ricerca di soluzioni più rispettose e consapevoli nei confronti dell’ambiente in cui operano e vivono.
In qualità di curatrice, il suo lavoro si è focalizzato sullo sviluppo di mostre d’arte contemporanea a basso impatto ambientale, che puntano l’obiettivo su alcune delle problematiche più attuali della nostra epoca, combinando istanze ecologiche, sociali e politiche.

Il suo ultimo progetto, Chasseurs de Tempêtes, può essere considerato l’emblema della sua intera produzione. La mostra, che è stata ideata come parte dell’iniziativa Saison France-Portugal 2022/Temporada Portugal-França 2022, si è appena conclusa al Passerelle Centre d’art contemporain di Brest, dopo essere stata ospitata nello spazio Porta33 di Madeira.
Il suo titolo richiama il soprannome dell’equipaggio dell’Abeille Flandre, rimorchiatore d’emergenza per grandi navi, messo a protezione dello stretto della Manica per evitare un altro disastro ecologico come quello conseguente al naufragio della petroliera Amoco Cadiz nel 1978, che ha riversato 230.000 tonnellate di petrolio grezzo sulla costa francese.
Considerando l’oceano come un’enorme entità vivente, la mostra cerca di esplorare i diversi modi di interagire con esso e i suoi abitanti, impersonando le loro sensazioni e pensieri.

Gli artisti selezionati, Paulo Arraiano, Rebecca Brueder, Josèfa Ntjam e Pedro Valdez Cardoso, richiamano l’attenzione sull’impatto dell’attività umana sulle regioni insulari e costiere. Utilizzando media molto diversi, che vanno dalla scultura, alle installazioni video e sonore, ai disegni, al fotomontaggio, includono non solo riflessioni sul cambiamento climatico e sull’Antropocene, ma anche su questioni identitarie e post-colonialiste. I temi principali (globalizzazione, inquinamento, riposizionamento di materie prime) vengono indagati in tutte le loro sfaccettature, prendendo in considerazione, ad esempio, i rapporti che intercorrono tra il corpo umano, il paesaggio e la tecnologia, utilizzati per indagare gli effetti dell’uomo sulla biosfera o arrivando persino a decostruire la narrazione egemone su etnia e identità.

Questo progetto si inserisce perfettamente nel lavoro di Bonnot, che trae le sue premesse da un assunto fondamentale: lo sfruttamento dell’ambiente è il naturale risultato di politiche colonialiste, radicate in strutture suprematiste, patriarcali e capitaliste, ed è quindi il riflesso delle numerose ingiustizie sociali della società contemporanea.
Francesca Conese