Il suo corpo è il suo medium, la sua performance, la sua arte, sé stesso, tutto insieme. Miles Greenberg è un artista canadese di 25 anni, attualmente a New York, che crea arte sul e col suo corpo.
Quando si esibisce nelle sue performance, il suo corpo e la sua mente entrano nello “spazio carismatico”, come lo chiama la sua mentore Marina Abramović, che implica uno stato fluido che può cambiare completamente a seconda degli automatismi del corpo. I rimandi all’arte rivoluzionaria di Abramović sono chiari, anche se Greenberg ormai ha una identità artistica ben definita e riconosciuta a livello internazionale.

Le sue performance sono generalmente molto lunghe: tutto il suo universo ruota intorno alla lentezza e alla totale immersione sensoriale grazie alla quale riesce ad esplorare i limiti di sopportazione del suo medium. Quando gli viene chiesto se medita durante le lunghe rappresentazioni – in cui si va dalle 6 alle 24 ore continuative, talvolta ripetute per più giorni – risponde “assolutamente no”. È in un perenne equilibrio e dialogo tra mente e corpo, perché rimanere presente è fondamentale per la riuscita dell’opera e per la sua incolumità. Probabilmente ha ereditato questo approccio da Abramović, secondo cui l’unico modo per portare a termine questo tipo di lavoro è pensare che quella condizione – anche se estrema – duri per sempre: solo così si può abbandonare il tempo.
I due si sono incontrati per la prima volta quando Greenberg, a soli dodici anni, ha partecipato a alla performance newyorkese di Abramović The artist is present: in quella sede il giovane artista ha iniziato a pensare a cosa fare con ciò che aveva già a disposizione, ossia il suo corpo. Successivamente ha partecipato ad un programma del Marina Abramović Institute, Cleaning The House Workshops, da cui poi è nato il sodalizio.
Miles Greenberg si identifica più come scultore che come performer. Alcune sue statue sono degne di nota, ma ancora più interessante è il motivo di questa sua identità. La performance ha una narrativa di inizio, fine e sviluppo intermedio con cui l’artista non si identifica necessariamente. Trova l’anatomia umana molto toccante e romantica ed è questa la sensazione che vuole replicare, con i media più adatti. Performance e scultura spesso si incontrano nella sua arte: le sue esibizioni iniziano un’ora prima dell’ingresso del pubblico e finiscono un’ora dopo la sua uscita. Le persone, secondo lui, devono essere gratificate con un gesto che sembri eterno. E questa è la scultura, i cui confini con la performance diventano labili.
Una delle opere che l’hanno consacrato nell’ambiente artistico è Oysterknife (2020), in cui Greenberg ha camminato ininterrottamente per ventiquattr’ore su un nastro trasportatore. Nessuna pausa era concessa per nessun motivo, ma intorno alla sedicesima ora ha perso i sensi per circa venticinque minuti. Successivamente ha continuato a camminare. Anzi, a ballare. Il dolore a quel punto aveva lasciato spazio al vuoto nel suo corpo, non aveva più pensieri a cui pensare – dopo aver passato dei momenti inizialmente orribili, poi gioiosi e infine euforici -, ha raggiunto il totale silenzio interiore. Il suo subconscio ha preso il sopravvento col pieno controllo dei suoi movimenti. Rivedendosi, ha provato la sensazione di «vedere l’intera sequenza del mio DNA. Ho visto mia madre, mio padre e centinaia di persone sconosciute nelle ultime due ore. Ma neanche per un momento ha pensato che non sarebbe stato in grado di completare l’opera» – che è stata trasmessa in diretta al Marina Abramović Institute (A 24-Hour Love Letter to Performance Art, 2023).

La sua ultima performance è stata Étude Pour Sébastien (2023), realizzata al Louvre a gennaio. L’opera voleva ripercorrere le vicende di San Sebastiano, morto martire per aver sostenuto la fede cristiana e tradizionalmente rappresentato trafitto da frecce. Ed è proprio questa l’iconografia che ha rappresentato Greenberg e con l’aiuto di un piercer si è fatto trafiggere.
Essere trafitti è un tipo di dolore molto spaventoso. […] dopo circa 20 minuti, sia la mia vista che il mio udito sono scomparsi per circa 20 secondi. Successivamente ho imparato che questa interruzione sensoriale è una risposta naturale che il tuo corpo produce quando crede che tu stia per morire. Lo fa affinché tu eviti di patire una morte dolorosa. I nostri corpi si prendono buona cura di noi.
In seguito alla performance, l’artista ha commentato così l’esperienza di dolore:
Mi è sembrato di morire per un minuto […]. Dopo quel minuto, ha preso piede una trasformazione totale. Il mio corpo è diventato leggero e forte. Era come sentire l’irruenza della febbre, moltiplicata per mille. […] Potevo sentire ogni centimetro del mio corpo in maniera incredibilmente acuta: ero così concentrato che avrei potuto contare le sopracciglia di qualcuno.
Dopo la preparazione si è recato tra le statue del Louvre, per cinque ore – in cui i visitatori non erano più presenti -, ha ripercorso lentamente tutte le pose tradizionalmente attribuite al Santo, poi ha iniziato a muoversi liberamente nello spazio, fino a correre e danzare, sdraiarsi per terra e interagire con le altre sculture. «Sentivo le frecce come lame di luce che percorrevano il mio corpo mentre il mio battito cardiaco rallentava nella stanza gelida. Sono diventato pietra anche io» (Annie Armstrong, Wet Paint in the Wild: Performance Artist Miles Greenberg Transforms Into St. Sebastian—Arrow Piercings and All—at the Louvre, 2023).

In questa performance, il rimando all’arte di Abramović è lampante e vale la pena ricordare la sua narrazione del dolore per capire l’eredità che ha lasciato al giovane Greenberg. In un’intervista del 2021, la veterana della performance ci dice che:
Ogni essere umano ha paura di qualcosa: di provare dolore, di soffrire, di morire. La maggior parte delle persone non ama affrontare queste tematiche, cerca di evitarle. Nel mio caso, invece, le metto in scena con la performance: è il mio modo di esorcizzarle. Perché è solo nel momento in cui affrontiamo le nostre paure che ce ne liberiamo davvero. Per farlo servono determinazione, forza di volontà e coraggio; cose che non arrivano mai da sole. Vanno coltivate nel tempo, finché un giorno ti svegli e dici: “Bene, non ho più paura”.
Eleonora Prinelli, Intervista a Marina Abramovic. Tra Paura, Dolore E Amore, 2021

In un dialogo con Marina Abramović, Miles Greenberg condivide un pensiero che racchiude tutta la loro poetica: «c’è qualcosa di romantico nella devozione totale verso un’idea. È un po’ come l’amore – la natura romantica di morire per l’arte ancora e ancora, un po’ di più ogni volta. Spingere sulla morte in questo modo ti dà una sorta di forma, un senso di bellezza e poesia» (Camille Sojit Pejcha, Miles Greenberg and Marina Abramović are testing the limits of body and mind, 2022).
Lasciamo in calce i link per vedere alcune performance:
Untitled Chandelier (Study for Confinement), 2020
Oysterknife, 2020
Pneumotherapy (II), 2020
LEPIDOPTEROPHOBIA, 2020
Water in a Heatwave, 2021
Giulia Spriano