L’emergenza che abbiamo scordato
Ci siamo ormai abituati, a un anno dall’aggressione all’Ucraina, a leggere di intere città senza energia e di famiglie costrette al buio (e al freddo) a causa dei continui bombardamenti.
Ma ci siamo ancora più tristemente abituati, tanto da non farci più caso (quasi a non darci alcun dispiacere) perché così lontano da noi e dal nostro sentirci sicuri, al fatto che molto prima del 24 febbraio 2022 nel mondo si contavano – e si contano in crescendo – circa 733 milioni di persone senza accesso all’energia (The Sustainable Development Goals Report 2022, Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite, 2022).
Il continente africano, che ospita quasi un quinto della popolazione mondiale, rappresenta meno del 4% del consumo energetico globale (trad. it di Stefania Mascetti, In Africa 600 milioni di persone sono senza elettricità, in “Internazionale”, 2019); nella parte subsahariana del continente 600 milioni di persone vivono nell’oscurità, specialmente nelle zone rurali, le più povere.
Tra queste si contano circa 340 milioni di bambini (https://littlesun.org/programs/education/).
Per più della metà delle scuole secondarie dell’Africa subsahariana l’elettricità è un lusso (trad. it di Stefania Mascetti, In Africa 600 milioni di persone sono senza elettricità, in “Internazionale”, 2019): insegnanti e studenti non possono comunicare online e non possono avere accesso alla maggior parte dei materiali didattici. I bambini non possono studiare quando è buio e non possono tornare a casa in sicurezza la sera. Questo implica che nei villaggi si usano tuttora le lampade a kerosene, caratterizzate da forti emissioni tossiche.
Quante cose un po’ di luce può cambiare, può migliorare.
Deve aver pensato questo Olafur Eliasson, artista islandese-danese, quando nel 2012 diede inizio assieme all’ingegnere Frederik Ottesen al suo ambizioso progetto.
Lo Studio Olafur Eliasson e il progetto Little Sun
Olafur Eliasson è un talento poliedrico, visionario. Artista, architetto, designer.
Con le sue opere da più di vent’anni sensibilizza il pubblico su temi importanti come la crisi climatica, il valore della natura e degli individui e le relazioni tra questi.
Il suo studio, con sede a Berlino, si compone di artigiani e tecnici, architetti, ingegneri, storici dell’arte, grafici e cineasti. Collaborano tutti insieme allo sviluppo e alla produzione di opere d’arte, progetti culturali e ricerche scientifiche. Insomma, una vera e propria fabbrica di idee.
Per Eliasson l’arte è uno strumento concreto per “dare la possibilità di esperire il mondo” creando consapevolezza sul nostro presente, perché è “importante che ciascuno abbia un ruolo, come singolo” (Maria Sabina Berra, “Nel suo tempo”: Olafur Eliasson a Palazzo Strozzi in “Exibart”, 2022). Questa sua affermazione ci rimanda direttamente al pensiero alla base dell’intero progetto Little Sun: la responsabilità individuale; la consapevolezza; l’identificazione delle problematiche; la ricerca di soluzioni e, non ultimo per importanza, la connessione tra le persone.
Il progetto si propone infatti di creare e distribuire soluzioni energetiche affidabili e pulite in particolar modo laddove l’accesso all’energia è ancora un miraggio, a partire dall’Africa subsahariana.
I campi in cui ha un forte impatto sono molti: in Etiopia, per esempio, si implementano sistemi di irrigazione ad energia solare che consentono agli agricoltori di coltivare durante i periodi di siccità; in campo sanitario, la Fondazione ha fornito agli operatori caricabatterie solari per i loro apparecchi elettronici, cosicché possano sempre accedere ai dati dei pazienti; in collaborazione con diverse associazioni umanitarie, distribuiscono dispositivi a rifugiati e migranti in Niger, Rwanda, Sud Sudan e, dall’anno scorso, Ucraina (https://littlesun.org/about/mission/).

Infine il campo dell’educazione, dove si è portata la luce nelle scuole grazie alla lampada Little Sun.
Questa nasce dalla collaborazione tra Eliasson e Ottesen, metaforicamente rappresentata come unione di arte e scienza: si tratta di una piccola lampada gialla che ricorda la forma di un fiore etiope, l’Adey Abeba (simbolo dell’enkutatash, letteralmente “dono di gioielli”), della grandezza del palmo di una mano, che si alimenta a energia solare. Con 5 ore di carica è in grado di produrre più di 50 ore di luce se impostata a bassa intensità o 4 se l’intensità è al massimo.
Il presupposto è semplice: senza accesso all’energia gli studenti – che non possono studiare dopo il tramonto – compromettono la loro istruzione e, di conseguenza, le loro prospettive future.
Fondamentale non solo per l’utilizzo quotidiano, educa soprattutto i più giovani ad un uso consapevole e sostenibile delle fonti energetiche, fornendo loro degli strumenti prima impensabili.
È difficile per noi riuscire ad immaginare quanto bene una piccola lampada può fare a chi vive senza elettricità: basti pensare al ruolo che la luce gioca nella quotidianità di studenti e studentesse, in assenza della quale faticano a mandare avanti gli studi; se parliamo di bambine e giovani donne, immaginiamo quanto più al sicuro possano sentirsi tenendo una luce in mano mentre tornano a casa; se infine pensiamo all’ambiente e alla salute, questa luce diventa l’unica alternativa al carbone e alla tossicità del kerosene.


Come abbiamo visto, ogni lampada porta con sé un significato enorme, e lo dimostra.
Secondo la Fondazione Little Sun, ogni bambino ha a disposizione 1200* ore in più di studio; le famiglie risparmiano fino al 20% del loro reddito, che normalmente verrebbe speso per i costi energetici; 2.266.336.765 ore extra di luce per le famiglie che non hanno accesso all’elettricità; 938.000 lampade a kerosene in meno; 4.649.870 persone il cui accesso all’energia è aumentato considerevolmente (da GOGLA, Standardized Impact Calculator for the Off-grid Energy Sector. *Tutti i calcoli sono basati sulla durata di vita delle componenti del prodotto).
È chiaro che l’arte, anche con una lampada a energia solare, non può risolvere la totalità dei problemi delle comunità che vivono nelle aree più critiche del mondo – la fame, le guerre e i cambiamenti climatici tra tutti – ma può, e questi numeri ben lo dimostrano, offrire un contributo per migliorare la qualità della vita di una singola bambina o di intere famiglie, nella loro quotidianità e per il loro (e nostro) futuro.
Dal 2012 ad oggi, la Fondazione ha distribuito più di 968.000 prodotti nelle regioni senza accesso all’energia, impattando non solo sull’educazione dei più giovani, ma evitando anche una quantità di emissioni di CO2 equivalente pari a 1.213.000 tonnellate (https://littlesun.org/impact/).
Fare CULTURA è AGIRE
La luce, così come nelle più celebri opere dell’artista, agisce anche qui come una sorta di musa ispiratrice.
Come il simbolo che rappresenta – il fiore con cui in Etiopia si celebra l’anno nuovo – anche la lampada diviene portatrice di bellezza e di speranza.
Oltre a rappresentare nuove e migliori possibilità, essa è soprattutto un mezzo per innescare un cambiamento sociale su scala globale (Stephanie Coffee, Olafur Eliasson’s Little Sun: “A Work of Art that Works in Life”, in ‘’INSIDE/OUT: A MoMA/MoMA PS1 Blog’’, 2014): Eliasson e la Fondazione sfruttano questo simbolo come punto di partenza per sviluppare discussioni sul futuro del nostro pianeta e delle popolazioni che lo abitano.
Lo scopo è creare una rete di connessione tra artisti, istituzioni culturali, associazioni e governi affinché portino avanti azioni concrete nel contrasto al cambiamento climatico e alla disuguaglianza sociale.
Un chiaro esempio dell’impegno sul fronte socio-ambientale di questo progetto è la grande installazione luminosa Grace of the Sun, nata dalla collaborazione tra l’artista e poeta scozzese Robert Montgomery e la Fondazione Little Sun.

Esposta a Glasgow nel 2021 in occasione della conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP26), l’opera mostra una breve ed incisiva poesia luminosa – rigorosamente ad energia solare – le cui parole sono composte da 1000 lampade Little Sun e il cui intento era quello di sollecitare l’impegno delle istituzioni governative sulle energie rinnovabili (Simone Acquaroli, «Grace of the Sun», la nuova installazione di Robert Montgomery alla COP26 di Glasgow, in “sottosuolo urbano”, 2021).
Dal 31 ottobre al 12 novembre 2021 questa grande installazione si illuminava al tramonto come un faro di speranza per tutta Glasgow e per il mondo intero, rappresentato in quei giorni dai principali leader mondiali.
Una volta smantellata, le piccole lampade sono state donate alle scuole e alle comunità dell’Africa subsahariana, dove la Fondazione Little Sun continua ad agire.
Olafur Eliasson una volta ha affermato che “impegnarsi con l’arte vuol dire percepire il mondo” e che questo “stimola il pensiero, la connessione e persino l’azione” (https://littlesun.org/culture/).
È allora vero che fare cultura è agire e che, ancora una volta, l’arte ha saputo cavalcare l’onda del progresso per schierarsi apertamente dalla parte della salvaguardia del pianeta e dell’uguaglianza sociale.
Il progetto Little Sun, nelle sue mille azioni e con i suoi mille volti, dimostra che l’arte è responsabilità e rispetto.
È comunità e connessione.
Educazione e senso civico.
E che una piccola lampada gialla a forma di fiore non è una lampada: è tutto questo.

Eva Chemello