Le Altre Americhe di Sebastião Salgado tra denuncia sociale e spettacolarizzazione della sofferenza

S. Salgado, Altre Americhe, copertina

Sebastião Salgado è una delle personalità più note del panorama fotografico internazionale. Tuttavia, vi sono alcuni progetti che ad oggi non sono molto conosciuti; è il caso di Altre Americhe, il suo primo libro fotografico. Si tratta di un lavoro di notevole interesse, perché anticipa molti temi ricorrenti nell’opera di Salgado, quali la povertà, il lavoro, le migrazioni e le diseguaglianze sociali, ma anche in quanto le scelte adottate sul piano formale e compositivo prefigurano il suo stile più maturo. Attraverso queste immagini l’osservatore è calato in un’atmosfera misteriosa e quasi onirica, fuori dal tempo, molto diversa rispetto a quella che si respira nelle sue successive monografie. La stessa struttura narrativa del libro è particolare, data l’assenza di didascalie che permettano di collocare le immagini in uno specifico contesto sociale, economico e politico. Le cinquanta fotografie che compongono il volume sottolineano il forte attaccamento di Salgado al Sudamerica e in particolare al Brasile; infatti, la rilevanza di Altre Americhe è data anche dal fatto che tale lavoro rappresenta per il fotografo un ritorno alle origini, all’amata America Latina da cui dovette fuggire in quanto dissidente politico. Tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento la nazione è attraversata da una serie di sconvolgimenti sociali, economici e politici: le persone abbandonano le campagne per migrare verso le città dove l’industria necessita di manodopera, si accentuano le disuguaglianze sociali e si stabiliscono al potere regimi militari in diversi stati. 

Sul finire degli anni Settanta, dopo aver lasciato il Brasile per trasferirsi in Francia, Salgado entra a far parte della Magnum, agenzia fotografica fondata da Henri Cartier-Bresson (1908-2004) e Robert Capa (1913-1954) con l’obiettivo di rendere maggiormente indipendenti sul piano espressivo i fotografi impegnati nell’ambito del fotogiornalismo. Salgado solleva non pochi interrogativi riguardo al mito del momento decisivo di Henri Cartier-Bresson, sorto in seguito alla pubblicazione della sua più celebre monografia dall’omonimo titolo. Secondo questa teoria la realtà è in costante mutamento, ma c’è un istante (il momento decisivo, appunto) nel quale tutti gli elementi sono in perfetto equilibrio. La capacità del fotografo sta allora nel saper attendere e catturare quel frammento di realtà dando luogo a un’immagine che racchiuda al suo interno l’attimo più significativo dell’azione. A quest’idea, Salgado contrappone un atteggiamento di tipo etnografico e sociologico. La fotografia è vista allora dall’artista come un linguaggio universale e democratico, capace di oltrepassare qualsiasi differenza linguistica. Le sue immagini si contraddistinguono per una forza drammatica che non deriva solo dal tema in sé, ma anche dalla spiccata attenzione per le scelte luministiche e i contrasti tonali. La cura compositiva non è motivata però dalla volontà di creare immagini epiche, quanto piuttosto di emozionare l’osservatore e sottolineare la dignità dei soggetti ritratti, trasformandoli in metafore di una condizione umana.

S. Salgado, Altre Americhe, Ecuador 1982

Al fotografo è stata più volte rivolta l’accusa di aver estetizzato la realtà e l’agonia, producendo «immagini spettacolari, sentimentali, mirabilmente composte e quasi cinematografiche», come le ha definite la Sischy, che ne mette in dubbio la validità di documento della realtà, avvicinandole alla fotografia artistica e commerciale. Su questa scia si collocano anche le affermazioni di Susan Sontag. La studiosa, nel suo scritto Davanti al dolore degli altri si interroga sulla capacità delle fotografie cosiddette documentarie di suscitare una reazione da parte degli osservatori: «quello che fa la fotografia è permettere alle persone di guardare oltre i propri confini, oltre ciò che è conosciuto e prendere così coscienza di quanto avviene nel mondo» ma essa ci sconvolge solo nella misura in cui mostra qualcosa di totalmente nuovo ai nostri occhi. Attualmente siamo circondati a tal punto da simili immagini da esserci abituati all’orrore da esse suscitato; queste fotografie dovrebbero atterrirci, invece in esse si nasconde una provocatoria bellezza: l’arte, infatti, trasforma la realtà qualunque sia il soggetto che essa rappresenta, conferendole valore estetico e perdendo così di vista la funzione di testimonianza. Ma la bellezza non può tramutarsi, invece, in un appello all’azione? Le stesse critiche sono state rivolte anche in relazione alla circuitazione editoriale ed espositiva delle immagini del fotografo, che parrebbero aver trasformato la sua produzione in un’opera dal valore puramente estetico. Tali accuse non tengono conto della potenza evocativa e narrativa della fotografia, trasformatasi oggi in uno dei più efficaci strumenti di comunicazione. 

S. Salgado, Altre Americhe, Ecuador 1982

In un’intervista il fotografo si esprime in questi termini in relazione al progetto di Altre Americhe: «Quando ho cominciato questo lavoro, nel 1977, dopo aver compiuto un periplo di diversi anni in Europa e Africa, il mio unico desiderio era ritornare a casa mia, in quella America Latina, sulla mia terra brasiliana che un esilio un po’ forzato mi aveva costretto ad abbandonare. Sognavo quel continente incantato, la sua fantasia ereditata da una terra di storie incredibili e lasciavo correre l’immaginazione attraverso le immense montagne verdi […] sempre nel pensiero, vagabondavo nell’incredibile misticismo del Sertão, tra uomini con corazze di cuoio, attraverso la loro lotta accanita per sopravvivere a luoghi così aridi, così poveri, eppure riserva morale di un paese intero. Sognavo la Sierra Madre, le sue brume […] decisi di tuffarmi nel cuore di quell’universo irreale, di queste Americhe latine così misteriose, sofferenti, eroiche e piene di nobiltà».

Il libro viene pubblicato in Francia nel 1986 e contiene foto scattate tra il 1977 e il 1984 in Bolivia, Cile, Ecuador, Guatemala, Messico e Perù. Qui il fotografo mostra la storia delle popolazioni che dalle sierre aride dell’America Latina hanno visto le loro nazioni trasformarsi in seguito all’industrializzazione, allo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione e alla globalizzazione. Sin dalla conquista occidentale queste comunità vengono sfruttate, torturate e costrette a fuggire dalle proprie terre. La povertà, la miseria, la rassegnazione e l’emarginazione sono solo alcuni dei temi di Altre Americhe. Nelle sue fotografie, l’artista registra e documenta l’alterità degli “altri” americani, così da enfatizzarne ulteriormente la solitudine e l’isolamento. L’immagine scattata nel nord-est del Brasile nei primi anni Ottanta è in tal senso emblematica: Salgado ritrae una giovane donna, Maria Eugenia, vestita da sposa e seduta su un’auto con un fiore fra le mani; l’abito festivo contrasta con l’espressione stanca e rassegnata e con il viso grave,  segnato dalle asprezze della vita. Un analogo trattamento espressivo caratterizza la seconda donna ritratta, che con fare annoiato poggia il braccio sullo sportello dell’auto, in attesa della cerimonia. I loro volti lasciano trasparire la stanchezza della vita dei campi e la solitudine che affligge queste comunità. 

S. Salgado, Altre Americhe, Brasile 1981

Ciò è altrettanto evidente in una fotografia che raffigura il momento successivo alle nozze, in cui gli sposi e le loro famiglie sono riuniti attorno al tavolo all’aria aperta, ma con i piatti a rovescio, come a voler sottolineare metaforicamente la povertà di quel territorio, il Sertão. Al contempo, però, il fotografo enfatizza l’eroismo e la nobiltà dei soggetti ritratti. Lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano, riferendosi a queste immagini, si esprime nei seguenti termini: «le fotografie di Salgado, come un ritratto multiplo del dolore dell’uomo, invitano allo stesso tempo a celebrare la dignità del genere umano. Brutalmente franche, queste immagini della sofferenza sono insieme rispettose e decenti. Quelli che Salgado ci mostra sono alle volte scheletri, quasi cadaveri. Sono stati spogliati di tutto, ma conservano la dignità. Questa è la fonte della loro ineffabile bellezza. Non è un macabro, osceno esibizionismo di povertà. È una poesia dell’orrore perché in esse vi è un senso dell’onore».

S. Salgado, Altre Americhe, Brasile 1981

La povertà appare chiaramente in un’immagine semplice ma scioccante al tempo stesso: tre bambini brasiliani sdraiati sul pavimento intenti a giocare con delle carcasse di animali morti. L’assenza dei giochi industriali mette in evidenza la disparità esistente tra il Nord e il Sud del mondo, la povertà di queste popolazioni dell’America Latina e l’abbandono in cui esse vivono; ma si possono cogliere anche alcune somiglianze: tutti i bambini, al di là della provenienza e dell’estrazione sociale, coltivano un’analoga immaginazione.

S. Salgado, Altre Americhe, Brasile 1983

Benché non tenti di idealizzare i suoi soggetti, Salgado non nasconde una certa nostalgia per la semplicità della vita contadina e per il misticismo che la circonda: in queste comunità svolge un ruolo fondamentale la fede, il fato, la spiritualità, le superstizioni. Nelle sue immagini è possibile cogliere, inoltre, alcuni richiami alla tradizione iconografica cristiana della Passione o la presenza di quadri e murales raffiguranti immagini sacre. È come se le persone ritratte fossero consapevoli del fatto che la fede non può offrire una soluzione all’apprensione, alla miseria, né può migliorare le loro condizioni di vita: è una sofferenza priva di salvezza. Tale aspetto sembra efficacemente rappresentato dall’immagine di un uomo brasiliano che legge alcuni versetti della Bibbia, mentre la moglie ascolta osservando il testo che tiene fra le mani, con un’espressione rassegnata. Nel frattempo, il resto della famiglia appare distratto e annoiato mentre attende la fine della lettura. 

S. Salgado, Altre Americhe, Ecuador 1982
S. Salgado, Altre Americhe, Brasile 1980

Il bianco e nero e i forti contrasti tonali coincidono con la volontà autoriale di conferire ai soggetti maggiore solennità e nobiltà. Ma contribuiscono anche a mettere in risalto la durezza e la crudeltà di questi territori, sottolineate anche da un paesaggio enigmatico, costituito da cieli spesso carichi di nuvole e dalla presenza ripetuta di piante che si ricollegano all’immaginario dell’America Latina, come cacti e agavi, rinviando all’idea dell’abbandono e della desolazione di queste lande così come all’atmosfera misteriosa e alla spiritualità che le contraddistingue.

La mancanza di testi esplicativi fa sì che l’interpretazione delle immagini derivi esclusivamente dalla totalità dell’opera, come l’unione di frammenti di una stessa storia. Salgado, infatti, è riuscito a catturare un modo di vivere tipico di alcune comunità, creando una sorta di archivio visivo per preservarne la memoria e facendosi il custode di un mondo di cui celebra l’isolamento rispetto al resto del pianeta.

S. Salgado, Altre Americhe, Ecuador 1982

Aurora Argiolas

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