Dal basso verso l’altro: negli antimondi di Nicola Alessandrini

Creature dionisiache, escrezioni e profili dalle fattezze informi: queste le presenze che animano con imponenza disfattista la produzione pittorica di Nicola Alessandrini, ideatore e coprotagonista di Le cose di Peter Guscovič.
Da poco conclusasi, la mostra si inserisce nell’ambito del progetto ARTCITY Bologna 2023 e disvela gli aspetti più interessanti e audaci di quello che è il processo creativo dell’artista maceratese, già noto per le sue visioni triviali e occulte, e in quanto interprete degli istinti umani più sinceri.

L’esposizione è tratta da Le Cose, l’introvabile romanzo di Peter Guscovič e traspone le gesta del protagonista del racconto in curiosi bozzetti «parlanti», restituendo al visitatore flussi di pensiero e flussi corporei in chiave totalmente inedita.
Una parabola verbo visiva che trae forza anche dall’atmosfera di Portanova12, scelta come sede dell’evento.
Nato dall’incontro tra parola e visione, l’intervento di Alessandrini propone un’interpretazione originale del romanzo, forte di una ritualità primigenia, costruendo un vero e proprio enigma di difficile risoluzione; del resto egli intesse i fili di una trama che non si presta ad uno scorrimento rapido e che può essere decodificata solo dall’osservatore più attento.
Quello fondato da Guscovič prima – e da Alessandrini poi – è un antimondo solo apparentemente sconnesso dal nostro, da cui si scorge la vastità dell’abisso che separa ogni interpretazione logica: proprio da questo abisso, barbaglia il crudo della fascinazione.

Nicola Alessandrini, Le cose di Peter Guscovič, 2023, Bologna, courtesy of Artribune

Le visioni di Alessandrini sono figlie di una progettualità continua che salda l’arte urbana al disegno artigianale, la letteratura all’arte concettuale, il ieri al sempre, offrendo allo spettatore una narrazione smisurata che pare arrivi da molto lontano e si spinga chissà dove.
I corpi sfrenati di Alessandrini mimano i movimenti tellurici della natura e – ora sotto forma di animali, ora sotto forma di vegetali o di individui – sfilano indisturbati sotto lo sguardo dello spettatore al ritmo di una dissacrante processione.
Valga un accenno all’opera murale MadreTerraTrema (MC), ideata nel comune di San Severino, colpito dal sisma del 2018; essa ha per protagonisti dei rospi insensibili sospinti dal peso di edifici crollanti, proprio ad esibire la relazione inscindibile tra l’uomo e la natura in chiave allegorico leopardiana.
Tali entità si collocano disordinatamente nello spazio di un racconto fuori dal tempo e si mostrano capaci di sprigionare un potere evocativo di rabelaisiana memoria che, come affermato a più riprese dall’artista, si carica di connotazioni fortemente politiche.
Fuoriuscite dalla frattura nevrotica del nostro secolo, esse rivendicano la centralità dei desideri e dei bisogni che colonizzano l’inconscio umano e premono per venire allo scoperto alla stregua di secrezioni corporee, «melme e masse umorali rimaste inoperate» (P. Guscovič, Le cose, H20 Edizioni, Merano, 1999).

Ma non solo: Alessandrini si avvale di un tipo di comunicazione estetica che oltrepassa la linea di demarcazione tra parola, immagine e suono, dando luogo a una lunga serie di connessioni sinestetiche. E’ proprio nel segno di questo approccio che nel 2019 è nata la collaborazione con gli artisti tanzaniani del centro di produzione artistica “Nafasi” di Dar es Salaam con cui l’artista ha fondato un progetto che accosta le sonorità occidentali e la musica Swahili e Taraab in una splendida comunione di suoni e pulsioni oltre confine.
Ne risulta una produzione corale di immagini che, sottraendosi alle pratiche istituzionalmente date e al senso comune, intende materializzare l’insostanziale per esplorare nuove possibilità espressive. Nella stessa dimensione semantica trovano collocazione anche i famelici ibridi che compongono il filone narrativo di Tra bestia e cielo, Mon Apetit, Sconfinamenti e Della mia carne.

Nell’ordine metafisico rappresentato da Alessandrini i meccanismi di protezione saltano e i desideri inespressi risalgono dal basso verso l’alto con le fattezze di voci e miasmi che tutto avvolgono, quasi a rivendicare impietosi il loro diritto ad esistere e a resistere.
A questo proposito valga un cenno a Speci migranti e ai murales dedicati alla Resistenza partigiana realizzati «a quattro mani» con la compagna e artista Lisa Gelli nei pressi di Marzabotto (BO).

Nicola Alessandrini e Lisa Gelli, Macerata, Speci Migranti, 2017, credits Centropagina Cronaca e Attualità

Ululanti e colorate queste entità primigenie stanno tra il cielo e la terra, tra Dio e la paranoia, ma non ammettono possibilità di mediazione con la morale corrente perché pretendono di ridefinire l’intero spazio collettivo con le loro fattezze ingombranti.
Gravide di visioni e passioni, esse formano un unico grande corpo; un corpo sociale percorso da fantasie devianti, forme psicotiche e umori vischiosi da troppo tempo repressi che tornano per condizionarne i superamenti. Ciò a dimostrazione di come l’arte, di per sé, costituisca una chiara azione politica.

Nicola Alessandrini, 2015, credits Juxtapoz Art&Culture
Nicola Alessandrini, Il Gran bollito, 2015, credits Le Vanvere Storie e illustrazioni a Km 0
Nicola Alessandrini, Son, 2013, credits Womade

Marie-Regine Dongiovanni

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