Claude Cahun, nome d’arte di Lucy Renée Mathilde Schwob (1894-1954), fu un’artista, fotografa, attivista e scrittrice esponente della corrente surrealista, oltre che grande anticipatrice di tematiche contemporanee.
Musa ispiratrice dei suoi lavori è la compagna e sorellastra Suzanne Malherbe (Marcel Moore in arte), con la quale inoltre si fotografa in numerose opere.
Gli anni più fecondi della sua attività furono quelli dal 1918 al 1938, la maggior parte dei quali vissuti nella capitale francese (dal 1922), dove, insieme alla compagna, frequentò alcuni dei più illustri artisti del periodo come André Breton, Salvador Dalì e Man Ray, spesso definiti come “pericolosi sovversivi”.
Nel 1938 si trasferisce, insieme alla compagna e musa, sull’isola di Jersey, mantenendo i rapporti con i surrealisti.
Claude Cahun e la compagna vengono dimenticate per decenni e solo negli anni Novanta l’artista francese viene riscoperta grazie alla biografia scritta da Francois Leperlier, Claude Cahun, l’écart et la métamorphose.
Inizi artistici e scelta del nome d’arte
Il primo medium con cui Cahun espande i confini, le urgenze e le necessità espressive è la scrittura. In questa prima fase firma le sue opere inizialmente con lo pseudonimo di Claude Courlis, successivamente con quello di Daniel Douglas (sembrerebbe in onore dell’amore perduto dello scrittore Oscar Wilde) e infine Claude Cahun che, come lei stessa affermò, «rappresenta ai miei occhi il mio vero nome, piuttosto che uno pseudonimo».
Scelse il nome d’arte Claude Cahun perché Claude era un nome neutro, usato al femminile o al maschile a seconda dei casi, e Cahun era il cognome della nonna paterna, tramite il quale rivendicava le sue origini ebraiche. Cahun, in relazione alla scelta di un nome neutro, affermò «Maschile? Femminile? Ma dipende dai casi. Neutro è il solo genere che mi si addice sempre».
L’obiettivo principale dell’artista, tramite i media della fotografia e della letteratura in primis, era la costante indagine visiva della propria identità, rifiutando di essere identificata con un genere definito, andando anche oltre i confini di sesso, e l’esigenza di cambiare le regole del mondo.
Nelle sue opere ritrasse se stessa, eliminando qualsiasi tratto che avrebbe potuto definirla e inquadrarla in un genere, designando differenti identità, proponendo mutevoli individualità caratterizzate da tante maschere. Claude indaga sul proprio corpo che trucca, camuffa e nasconde. La stessa artista scrive: «Sotto questa maschera, un’altra maschera. Non riesco a finire di raccogliere tutte queste facce».
Nel 1914 inizia a realizzare una serie di autoritratti, dove fa capolino una sorta di proto travestimento grazie al quale il suo corpo e il viso prendono sembianze di donne del passato celebri, usando maschere e costumi mitologici recuperati da spettacoli teatrali. Realizza, in questi stessi anni, veri e propri tableaux fotografici dove sperimenta il rifiuto per qualsiasi tipo di formalismo.
Nel 1919 inizia a lavorare a un libro autobiografico, intitolato Aveux non avenus, dove unisce, grazie all’aiuto della compagna Marcel Moore, pensieri, disegni e fotografie fino al 1930, anno in cui venne pubblicato il volume.
Seconda Guerra Mondiale
Durante il periodo del secondo conflitto mondiale, l’artista francese e la compagna si unirono alla resistenza, creando una “resistenza culturale”, e si opposero al Nazismo: le loro scelte politiche, oltre al dichiarato lesbismo, saranno le cause del loro arresto e della condanna a morte da parte delle autorità naziste, sentenza mai messa in atto.
Crearono dei famosi volantini, firmati Soldat Ohne Namen (“il soldato senza nome”), in cui si incitavano i soldati tedeschi all’ammutinamento.
Durante gli anni di prigionia la loro casa nell’isola di Jersey venne saccheggiata e la produzione artistica quasi totalmente distrutta dai tedeschi, perché venne ritenuta pornografica.
Ricerca del nomadismo identitario

La sua ricerca artistica è caratterizzata dal desiderio di persistere nell’indagine di un nomadismo identitario e dal volere combattere il formalismo sociale presente. Questo suo volere orienta Cahun verso scelte formali e visive in cui la componente psicologica è di fondamentale importanza ed è essenziale per la realizzazione delle sue opere. Nelle sue fotografie narcisismo e individualismo si uniscono, fondendosi a scenari mitici o a contesti di natura quotidiana, in cui l’elemento straniante è lo stesso corpo dell’artista che viene trasmutato ogni volta in delle altre identità. L’attenzione è posta su una posa, sguardo o messa in scena, che permettono di contestualizzare nell’immediato l’atmosfera interna alla fotografia.
Nelle sue opere l’artista francese sfrutta le potenzialità duttili del mezzo allo scopo di esplorare l’interno di un sé mobile, il quale trova spazi di realizzazione e riflessione solamente grazie alle metamorfosi che sono state scelte.
Tra il mezzo fotografico e la maschera

Ciò che distingue la sua ricerca è il cercare di scovare delle sfumature o alternative di un’identità che Cahun presenta come singola a livello sociale.
Per la fotografa tutte le fotografie hanno la funzione intrinseca di rappresentare la congiunzione tra macchina fotografica e la maschera che usa in quel momento e i travestimenti rappresentano l’elemento principale di una scena illusoria in cui prende luogo la commedia, che possiede una sceneggiatura, una scenografia e personaggi sempre nuovi, oltre a un regista che coordina l’evoluzione la storia che viene messa in scena.
La fotografia, per l’artista francese, raffigura un modo di fuggire, l’idealizzazione e l’imitazione dei destini che vengono sognati: l’artista-fotografa, all’interno dei suoi lavori, concilia le differenti componenti, perfettamente conscia delle duttilità del mezzo che sta utilizzando. Ritiene che il travestimento e il camuffamento siano i mezzi migliori per realizzare i desideri sognati e che vengano soffocati da obblighi e doveri sociali, i quali reprimono la libertà espressiva in favore di una rinnovata operazione artistica. La fotografia riesce a tradurre i sogni e i desideri, mentre il corpo dell’artista è protesi della ricerca e il testimone finale di un viaggio schizofrenico nei ruoli di altri.
Greta Da Ros