Arte degenerata: storia della paradossale mostra nazista

Il 19 luglio 1937 l’inaugurazione della Mostra d’arte degenerata sancì la guerra aperta del Regime Nazista nei confronti delle Avanguardie, espressione artistica di dissenso e lotta al pensiero unico.

Inaugurazione della Mostra d’Arte Degenerata, Berlino, 19 luglio 1937, Credits Artribune

Il periodo a cavallo tra Otto e Novecento, gli anni febbrili che precedettero lo scoppio della Grande Guerra e, infine, i decenni che separarono i due conflitti mondiali, rappresentarono lo scenario entro il quale nacque e si sviluppò quella che tradizionalmente viene definita Arte Contemporanea. L’Europa, violentata da un susseguirsi di traumi politici, sociali e psicologici, fu lo sfondo sul quale gli artisti, nel tentativo di fare carriera nelle grandi metropoli, si ritrovarono a fare i conti con un senso di alienazione e solitudine collettiva che, possiamo supporre, mai prima d’allora aveva avuto una portata tanto vasta. Il risultato fu naturalmente radicale: gli artisti smisero di rappresentare ciò che c’era fuori, per rivolgersi verso ciò che avevano dentro. Fu la fine di ogni corrispondenza tra realtà e rappresentazione, lasciando spazio a un’arte brutalmente onesta, introspettiva e avanguardista. Il mondo era cambiato e gli artisti, specchio del mondo, cambiavano con lui.

James Ensor, The Intrigue, 1890, olio su tela, Anversa, Royal Museum of Fine Arts, Credits Artslife

Una simile premessa serve a comprendere perché fu proprio contro un’arte simile che si scagliò il mostro del XX secolo – il regime Nazista – etichettandola come “degenerata”. La fantomatica teoria della razza non poteva sopportare la proliferazione di una pittura che metteva in scena il dramma della precarietà dell’essere umano, minacciando l’ideale di perfezione fisica e morale del “tedesco perfetto”.
Fu guerra aperta ad Espressionismo, Dadaismo, Surrealismo, Cubismo, Nuova Oggettività. In tutta la Germania furono ordinate operazioni di pulizia di palazzi, musei, gallerie e collezioni private, atte a depurare i luoghi della cultura dalla sporca e pericolosa modernità. Nelle liste di proscrizione naziste finirono i nomi dei più grandi artisti del Novecento: Kirchner, Kandinskij, Klee, Chagall, Munch, Klimt, Picasso, Braque, van Gogh, Cézanne, Matisse, Modigliani, De Chirico, Ernst, Dix.

Edward Munch, Melancholy, 1893, olio su tela, Oslo, Munch Museum, Credits Munch Museum

Delle circa ventimila opere sequestrate, molte furono distrutte o vendute all’estero, mentre un’altra parte di esse andò ad alimentare quella che si può definire la mostra d’arte più paradossale della storia: Entartete Kunst (“Mostra d’arte degenerata”). Curata dal pittore Adolf Ziegler, di cui Hitler fu appassionato ammiratore, fu la prima mostra ad avere come obiettivo quello di denigrare e diffamare gli artisti esposti. Tramite un allestimento volutamente disordinato, una scarsa illuminazione, l’assenza di cornici e l’impiego di didascalie dispregiative, l’evento inaugurato il 19 luglio 1937 presso l’Istituto di Archeologia dell’Hofgarten di Monaco di Baviera aveva il chiaro intento di silenziare qualunque forma di dissenso nei confronti del Regime. Un libretto guida forniva ai visitatori l’interpretazione corretta delle seicentocinquanta opere esposte: un insulto nei confronti dei valori tradizionali dello Stato tedesco.

Mostra d’arte degenerata, parete dadaista, 1937, Credits Finestre sull’arte

Il giorno prima dell’inaugurazione, il 18 luglio, aprì le porte un’altra mostra, curata e concepita in parallelo: Große Deutsche Kunstausstellung, (“Grande mostra dell’arte tedesca”). L’intento dell’operazione era chiaro: contrapporre alla perversione avanguardista la sobrietà di opere contemporanee di artisti tedeschi, tutte di stampo neoclassico.

Grande Mostra d’arte tedesca, 1937, Credits Finestre sull’arte

L’antisemitismo era ovviamente alla base di tutto questo, non tanto perché alcuni degli artisti “degenerati” erano ebrei, ma perché lo erano i loro collezionisti. C’era una correlazione tra arte e malattia che i nazisti tentarono in tutti i modi di inculcare nelle menti del pubblico. Arte e razza, scritto nel 1928 da Paul Schultze-Naumburg, fu il testo teorico di riferimento per gli organizzatori della Mostra d’arte degenerata. Esso paragonava fotografie di pazienti deformi o menomati con i soggetti delle opere d’arte proscritte, dipingendo il Modernismo come una malattia. Le teste oblunghe di Modigliani quanto i bruschi volti di Kirchner venivano accostati a gravi forme di disabilità e malformazione genetiche. L’unica vera arte era quella ispirata ai canoni classici, alla quale solamente gli artisti tedeschi potevano aspirare. Naturalmente non passò mai per la mente di un solo gendarme nazista il sospetto di star portando avanti una battaglia incoerente, viste le origini “tedeschissime” dell’Espressionismo, la corrente più di tutte fondata sull’impiego di irregolarità e violenze cromatiche e formali.

Paul Schultze-Naumburg, Arte e Razza, 1928, Credits Alipes

L’odio razziale, oltre che l’intolleranza verso categorie marginalizzate come quella dei disabili, pretese di potersi impossessare dell’arte, di utilizzarla come strumento di propaganda. Ma a ben vedere fu una pretesa troppo grande. La Mostra d’arte degenerata infatti ebbe un controeffetto che i nazisti non avevano considerato: i visitatori furono oltre 2 milioni, stracciando numericamente la mostra gemella. L’interesse del pubblico nei confronti delle avanguardie sancì la loro forza, il loro carattere universale e la loro presa sull’individuo del XX secolo.
L’operazione nazista finì per rafforzare la fama degli stessi artisti che perseguitò, i quali riuscirono a costruire, dalle macerie, la storia dell’arte del nostro tempo.

Marianna Reggiani

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