Si è da poco conclusa all’Institut du Monde Arabe di Parigi una grande mostra biografica dell’artista algerina, che ne ha ripercorso le fasi artistiche inevitabilmente legate alla storia del suo paese natale. Rompendo la passività orientalista assegnata tradizionalmente alle donne algerine (e non solo), Baya ha costruito il suo mondo, rimanendo sé stessa e dando spazio alla sua cultura visuale d’origine.
Baya Mahieddine, meglio conosciuta come Baya, è stata una delle artiste più interessanti e influenti dell’Algeria del XX secolo e prima donna algerina ad affermarsi nel panorama artistico internazionale durante il periodo della decolonizzazione. Le riflessioni sempre attuali che scaturiscono dalla sua storia personale e artistica sono state da poco elaborate in una mostra biografica inaugurata l’8 novembre a Parigi presso l’Institut du Monde Arabe e chiusa il 26 marzo, intitolata Baya, icône de la peinture algérienne – Femmes en leur Jardin. La mostra ha portato un corpus di opere molto ampio, composto da pittura e ceramiche, nel tentativo di tracciare tutte le tappe artistiche e biografiche dell’artista, riflettendo sul rapporto colonialista e paternalista tra Francia e Algeria.

Artista bambina
Nata nel 1931 a Blida, in Algeria, Baya fu abbandonata dalla madre in giovane età e crebbe con Marguerite Caminat, madre adottiva e prima scopritrice del suo talento, arrivata in Alegria nel 1940 per sfuggire alla Franca occupata. Sotto l’ala di Marguerite Caminat, Baya intraprese gli studi conservando e sviluppando il patrimonio culturale algerino anche grazie alle famiglie musulmane dei suoi amici. È a casa, con i suoi pennelli e colori, che Baya inizia a dipingere. Il gallerista Aimé Maeght, che aveva scoperto il suo talento durante un viaggio ad Algeri, organizzò la sua prima grande mostra a Parigi nel 1947, quando Baya aveva solo 16 anni.

Incantando la Francia postbellica, si inserì nel panorama artistico anche grazie all’attenzione dedicatale da André Breton e Jean Dubuffet, per motivi diversi affascinati dall’opera della giovane. Il fascino che provocò in Europa non era privo di ambiguità: da una parte era una sincera curiosità per un’artista in divenire, dall’altra traspariva un costante velo di paternalismo che storicamente ha sempre forgiato lo sguardo degli europei verso l’alterità, intriso di orientalismo e di stereotipi. I legami con gli artisti “di sistema” europei e internazionali non finirono lì: nel 1948 Baya tornò in Francia per approcciarsi alla scultura; la sua creatività nel lavorare l’argilla fu notata da Picasso, nel laboratorio di ceramica Madoura a Vallauris.

Dopo anni di presenza attiva sulla scena artistica francese, durante la Guerra di Indipendenza algerina (1954-1962) Baya smise di dipingere, dedicandosi alla famiglia e ai suoi sei figli. Solo nel 1963 e grazie all’amico e pittore Jean de Maisonseul, direttore del Museo Nazionale di Belle Arti di Algeri, Baya torna a dipingere, elaborando nuovamente temi a lei cari dopo l’esperienza bellica.

Una pacata autodeterminazione
Nonostante la sua personalità discreta e modesta, in netto contrasto con il contesto artistico in cui era stata catapultata, Baya fu sempre molto attiva nella gestione della sua stessa immagine, ad esempio partecipando a mostre collettive e forgiando il proprio percorso; ha portato avanti pratiche artiche proprie e autonome, rompendo la passività tradizionalmente assegnata alle donne vittime dello sguardo orientalista. Spesse volte sono state avanzate definizioni per la sua arte, tentando di incasellarla in movimenti e classificazioni occidentali come “art brut” o “naïf”, senza comprendere le sue radici culturali o le sue stesse volontà: mentre l’arte europea tentava di far ciò Baya ha continuato a creare, per poi essere consacrata come una delle pioniere dell’arte algerina, ottenendo nel 1969 il Gran Premio di pittura della città di Algeri. Una pittura che riporta gli stessi motivi, ogni volta però posti diversamente, legati alla natura, ai rituali di guarigione, alle donne algerine: i dipinti e le ceramiche si compongono di forme organiche che prendono vita attraverso i colori, mai banali, che stupiscono lo spettatore. Pur non considerandosi un’artista professionista, ma piuttosto una donna che esprimeva la sua creatività attraverso la pittura, Baya ha trasformato la sua vita in un simbolo, una storia coloniale e orientalista in un gioiello di tutela, diventando una figura di riferimento della cultura algerina contemporanea.
Stella d’Argenzio