Arte, magia e occulto. Come il Surrealismo mantiene il suo incantesimo sulla contemporaneità.

Il latte dei sogni. Così si chiama il famoso libro illustrato dell’artista Leonora Carrington, e che sapientemente Cecilia Alemani ha scelto come titolo della sua Biennale, giunta quest’anno alla cinquantanovesima edizione. Le note dell’estetica surrealista risuonano ancora nel mondo dell’arte contemporanea, ed è in questa cornice che si inserisce la mostra, unica nel suo genere, nata dalla collaborazione tra la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, dove è stata inaugurata il 9 aprile e resterà visitabile fino al 26 settembre, e il Museo Barberini di Potsdam, in Germania, dove sarà trasferita per essere nuovamente inaugurata il 22 ottobre. 

Surrealismo e magia. La modernità incantata, è unica perché espone per la prima volta il dialogo serrato tra gli artisti surrealisti e il mondo irrazionale della magia, dell’alchimia, dell’esoterismo. Se l’influenza dell’occulto nell’arte europea era già stata analizzata nella mostra Arte e magia (Palazzo Roverella, Rovigo, settembre 2018- gennaio 2019), a Venezia la curatrice Gražina Subelytė si concentra sulla magia e le sue mille declinazioni come costante nell’evoluzione del pensiero surrealista tra le due guerre (il periodo preso in esame, infatti, va da alcune opere degli anni ’10 di De Chirico, considerato influenza fondamentale per il Surrealismo, fino agli anni ’40 e a La vestizione della sposa di Max Ernst).

Giorgio de Chirico, Il cervello del bambino (Le Cerveau de l’enfant), 1914, olio su tela, 60 x 65 cm. Moderna Museet, Stockholm, Purchase 1964 (The Museum of Our Wishes) © Giorgio de Chirico, by SIAE 2022

La magia è arma e speranza per i surrealisti: arma contro il positivismo e la razionalità, che nulla hanno potuto contro gli orrori della Prima guerra mondiale, speranza per un radicale rinnovamento della coscienza individuale e sociale, basato sulle potenzialità dell’inconscio (non a caso sono proprio le teorie sulle capacità sopite dell’intelletto di Freud, e in particolare il suo famoso testo Totem e tabù del 1913, ad avere un impatto enorme su Breton e sul movimento). 

Alla luce di questa concezione Subelytė dedica un’intera sezione della mostra a Kurt Seligmann, artista e teorico, il cui studio sull’occultismo e la magia nel folklore popolare, The Mirror of Magic, è di cruciale importanza per comprendere alcuni aspetti del rapporto tra Surrealismo e universo magico. Oltre all’interesse per l’occulto, nelle sue opere si riscontra anche un’ibridazione tra le idee surrealiste e l’enorme impianto iconografico svizzero e tedesco presente nel suo background. La sua tela Il Diavolo e il Matto simboleggia esattamente lo scontro sanguinolento presente nel panorama post-guerra secondo i seguaci di Breton: il diavolo non è altri che la ragione, che con il suo sguardo fortemente limitato non ha causato altro che orrore e distruzione; il matto è l’artista contemporaneo, colui che è capace di farsi portavoce di un nuovo modo di vedere e può guidare l’evolversi della società verso un futuro di pace e stabilità.

Tale evoluzione non può che esser preceduta da uno sforzo di purificazione radicale, che trasformi e plasmi la realtà. In questo senso l’alchimia costituisce per i surrealisti una pratica affascinante, profondamente connessa alla purificazione (si pensi all’oggetto alchemico per eccellenza, la pietra filosofale, capace di ricostruire e sanare la materia corrotta). Da qui al ripensamento del ruolo dell’artista come alchimista il passo è breve, come dimostra un’altra opera presente in mostra, Il Surrealista di Victor Brauner, che in questo autoritratto molto particolare si rappresenta come un mago capace di giostrarsi tra i simboli e dominarli per ridisegnare la realtà.

Victor Brauner, Il surrealista, 1947, olio su tela, 60 x 45 cm. Peggy Guggenheim Collection, Venice (Solomon R. Guggenheim Foundation, New York) © Victor Brauner, by SIAE 2022

Per questo autoritratto Brauner prende spunto da una carta dei tarocchi, Il Giocoliere, che gli fornisce l’insieme di significanti più efficace a trasmettere il suo messaggio (a esempio i simboli tradizionali delle carte visibili in primo piano sul tavolino, che rimandano ai quattro elementi). I tarocchi, d’altronde, così come tutte le pratiche utili a predire il futuro, come anche il càbala, sono fonte per i surrealisti di forte fascinazione, e suggeriscono gli archetipi e i temi di molti artisti contemporanei di Brauner. Tra questi Leonora Carrington, che trae ispirazione dai tarocchi per numerosissimi lavori, come Il Negromante o Ritratto di Max Ernst.

Leonora Carrington, Ritratto di Max Ernst, ca. 1939, oil on canvas, 50.3 × 26.8 cm. National Galleries of Scotland. Purchased with assistance from the Henry and Sula Walton Fund and the Art Fund, 2018 © Leonora Carrington, by SIAE 2022

Carrington raffigura il pittore tedesco, con cui aveva una relazione all’epoca della realizzazione del dipinto, come un eremita piumato che vaga in mezzo al nulla, lì dove l’ultimo essere vivente, il cavallo, è ormai parte del paesaggio gelato. Ma la lanterna a forma di uovo che porta con sé, simbolo chiave di quest’opera, contiene al suo interno un principio di nuova vita. Oltre a rappresentare il concetto surrealista di distruzione e rinnovamento di cui si è già discusso in precedenza, l’uovo è un’icona ricorrente in moltissime opere di Carrington, che vi riversa figurativamente le idee cardine della sua ricerca artistica: prima tra tutte la valorizzazione della componente femminile e del suo potere, della capacità di generare la vita, della fecondità primordiale. Inoltre, l’uovo può essere considerato l’emblema androgino per eccellenza, il primo risultato alchemico dell’incontro tra elemento femminile ed elemento maschile. Ed è proprio questo confronto tra alchimia ed erotismo (altro tema fondamentale per i surrealisti) che permea uno tra i più celebri, presso il grande pubblico, dei lavori esposti in Surrealismo e Magia. Parliamo de La vestizione della sposa di Max Ernst. Dipinto nel 1940, un anno dopo rispetto a Ritratto di Max Ernst, l’opera è prepotentemente influenzata dall’estetica e dal simbolismo di Carrington. 

Max Ernst, La vestizione della sposa, 1940, olio su tela, 129.6 × 96.3 cm. Peggy Guggenheim Collection, Venice (Solomon R. Guggenheim Foundation, New York) © Max Ernst, by SIAE 2022

La figura principale, metà donna e metà rapace, che avanza tra le mura di rovine classiche (e qui si percepisce il lascito di De Chirico), ha alle spalle un dipinto che è premonizione del suo incedere, in un gioco sapiente di quadro nel quadro, e si muove con grazia nonostante il pesante mantello piumato, che ricorda il costume del Max Ernst di Carrington, e la freccia gigante in esso conficcata, simbolo dell’elemento maschile che incontra quello femminile, anche questo sicuramente ispirato dal pensiero della pittrice inglese, come anche la figurina androgina in basso a destra, con mammelle femminili e genitali maschili. La vestizione della sposa altro non è che un concerto alchemico, in cui gli elementi purificatori si preparano al loro viaggio e al loro incontro, alle nozze, appunto, che saranno culla per un mondo nuovo, dove l’essere umano ha finalmente trovato il coraggio di mettere da parte il razionalismo e lasciare che il potere dell’inconscio si sprigioni, liberandolo dalle catene che egli stesso si è costruito nel corso della storia. E forse proprio la permanenza di queste catene, anche oggi, a quasi un secolo di distanza da questo capolavoro, e la difficoltà della società di compiere il passo definitivo verso l’altare, costituiscono l’ingrediente segreto che mantiene vivo l’incantesimo del Surrealismo sullo spettatore.

Dionisia Matacchione

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