GOD IS A BLACK WOMAN: La sfida all’egemonia culturale di Harmonia Rosales

REIMAGINE, RECLAIM, EMPOWER

Non esiste una traduzione del diffusissimo termine inglese empowerment che riesca a esplicitarne l’ampiezza del significato linguistico e culturale: in italiano, esso viene perlopiù tradotto in potenziamento o emancipazione. Parafrasando, questo vocabolo indica una crescita che porti al raggiungimento di un maggiore e più consapevole potere decisionale sul modo in cui agiamo nel mondo, individualmente e collettivamente. Storicamente, però, varie forme di dominio culturale o – per dirla con le parole di Gramsci – di «direzione intellettuale e morale» si sono imposte su minoranze – di diverse religioni e culture – che, fuoriuscendo dai confini della visione dominante, troppo spesso venivano per questo oppresse ed escluse. L’egemonia occidentale è, senza alcun dubbio, tendente al dominio entro i propri immaginari confini – culturali e morali – di comunità e gruppi che ben poco hanno a che fare con essa, ma che ne subiscono i dettami. L’emancipazione e il riconoscimento, allora, sono raggiungibili grazie a una crescita interna o sono, piuttosto, concessi dall’alto?
Si è più volte sottolineato quanto l’arte possa avere un ruolo all’interno della società: essendo un linguaggio universale può abbattere barriere linguistiche e culturali, religiose e sociali, creando nuove possibilità espressive anziché negarle. Ogni movimento artistico è certamente figlio di una specifica «direzione intellettuale», ma l’arte ha in sé la capacità di rovesciare qualsivoglia forma di dominio, reinterpretando volta per volta la realtà circostante, dandole sempre nuovi significati. È quanto fa l’artista afro-cubana americana Harmonia Rosales: guardando all’arte del passato – che l’avrebbe vista esclusa – Rosales ripensa, rivendica e fortifica la cultura che con orgoglio rappresenta.

L’artista Harmonia Rosales davanti all’opera Creation Story, courtesy of Interdisciplinary Humanities Center

Una nuova narrazione

Se chiudiamo gli occhi e pensiamo alla narrazione visiva occidentale sulla creazione dell’umanità – dal cristianesimo alla mitologia greco-romana, coi loro trionfi, tragedie e bellezze – con ogni probabilità ognuno di noi immaginerà la Creazione di Adamo di Michelangelo, l’Ultima Cena di Leonardo Da Vinci o la Nascita di Venere di Botticelli. Questo perché, per secoli, le tradizioni artistiche dell’Europa rinascimentale hanno avuto autorità pressoché assoluta nella trattazione di questi temi. Si tratta di quel dominio culturale e intellettuale a cui abbiamo precedentemente accennato, il quale plasma le iconografie modellandole unicamente attorno alla propria spiritualità e ai propri costumi.
Harmonia Rosales, forte di un bagaglio multiculturale, ha fatto di questa narrazione il grande quesito della sua carriera. Appassionatasi fin da giovanissima all’arte del Rinascimento, guardando in particolare alle impeccabili tecniche compositive e pittoriche dei suoi protagonisti. Rosales ha scelto audacemente di intraprendere la strada della pittura nel senso più tradizionale del termine: tele dipinte ad olio in cui l’artista trae ispirazione dai capolavori dei grandi maestri del passato.
Inizialmente dissuasa nella sua passione da una rappresentanza quasi esclusivamente bianca delle iconografie rinascimentali e dall’idealizzazione di una bellezza femminile tipicamente eurocentrica, l’artista ha deciso di focalizzare il proprio lavoro sull’emancipazione delle donne nere all’interno della narrazione occidentale, raffigurando e onorando la diaspora africana: la dispersione, cioè, dalle terre d’origine del popolo da cui l’artista discende, del quale vuole riportare in primo piano la storia, la cultura e la forte spiritualità. Nel farlo, svuota quella stessa narrazione per riempirla di immagini nuove, creando opere che sembrano familiari, ma non lo sono: ne riconosciamo le iconografie e le architetture, ma ciò che Rosales ci mostra narra tutta un’altra storia.

Harmonia Rosales, Creation of God, olio su tela, 2017, courtesy of Harmonia Rosales

Creata per la sua prima esposizione personale Black Imaginary To Counter Hegemony del 2017, l’opera dal titolo Creation of God  riassume perfettamente il pensiero dell’artista. Sovvertendo l’iconico affresco di Michelangelo, Rosales dipinge la forza e l’emancipazione delle donne nere – includendole finalmente all’interno della storia dell’arte – sfidando apertamente l’egemonia culturale occidentale. L’artista ha affermato che «sostituendo le figure maschili bianche – le più rappresentate – con persone che sono invece le meno rappresentate, possiamo iniziare a cambiare le nostre menti e ad accettare nuovi punti di vista su ciò che consideriamo valore umano» (Ada Ruiz, Harmonia Rosales: Black femininity in classical artworks, in “Los Angeles Academy of Figurative Art”, 2018).
Rosales ritrae il primo essere umano come una donna nera, creata dall’argilla della terra che la circonda, mentre cerca il tocco di Dio. Anche quest’ultimo è raffigurato come una forte donna nera la quale, come in un grembo, tiene a sé dodici figure nude. Possiamo immaginare lo scalpore che ha sollevato quest’opera, tacciata di blasfemia per aver posto la domanda: e se Dio fosse femmina? E se fosse una donna nera? L’artista, in risposta al clamore suscitato – o meglio, allo shock del cristianesimo occidentale – ha affermato che «se consideriamo che tutti gli esseri umani provengono dall’Africa (…) allora è logico dipingere Dio come una donna nera, che diffonde la vita a sua immagine e somiglianza» (https://www.harmoniarosales.art/catalogue/creation-of-god).

Harmonia Rosales, Birth of Oshun, olio su tela di lino belga, 55’’ x 67’’, 2017, courtesy of Harmonia Rosales

Seguendo lo stesso ragionamento, la Venere più famosa al mondo si trasforma per Rosales in Oshun, una meravigliosa donna dai ricci capelli corti, naturali, mentre fluttua verso lo spettatore. Divinità appartenente alla religione Yorùbá dei popoli dell’Africa occidentale, Oshun rappresenta l’amore, la fertilità e la speranza. I segni dorati sulla sua pelle, che rimandano alla vitiligine, narrano il suo sacrificio: trasformandosi in pavone, Oshun volò verso il sole per chiedere forti piogge durante un periodo di siccità, salvando così il suo popolo e l’umanità intera. Celebrando la bellezza in tutte le sue forme, l’artista onora il sacrificio e la guarigione, la vita e la speranza.
Ma è soprattutto in opere come The Harvest – il raccolto – che Rosales fa emergere la spiritualità e la forza di questo popolo.

Harmonia Rosales, The Harvest, olio su tela di lino belga, 46’’ x 27’’, 2018, courtesy of Harmonia Rosales

La protagonista è ancora una donna, Eva, rappresentata da Rosales come Madre Africa, protettrice e madre di tutti gli uomini della diaspora africana: con sguardo dolce e intenso, tiene fra le braccia i figli nati nel Nuovo Mondo, come suggeriscono le architetture greco-romane sullo sfondo. L’artista usa le figure femminili – le Orisha – come manifestazione della memoria dei suoi antenati e come strumenti di guarigione dal trauma. Ma non c’è tono accusatorio nei suoi dipinti, non c’è volontà di paragone con la narrazione occidentale: queste splendide e imponenti figure sono pensate per trasportare lo spettatore da una realtà di tipo tangibile a un mondo che trascende la bidimensionalità della tela, il quale ci parla di culture lontane, di storie collettive e personali, mitologie e religioni che forse non avremmo mai conosciuto. È un racconto vivido e pieno di speranza – anche quando narra eventi drammatici – che intende «mettere da parte qualsiasi associazione religiosa per concentrarsi sul significato storico ed emotivo di ogni opera» (https://www.harmoniarosales.art/about). Per questo motivo, il suo lavoro non intende né copiare né accusare, ma creare un senso di armonia tra dicotomie apparentemente in conflitto.
Nella sua ultima esposizione – Master Narrative Tour – aperta fino al 6 dicembre 2023 presso lo Spelman Museum of Fine Art di Atlanta, l’artista ha compiuto il passo successivo. Ha ricreato, attuando un ripensamento radicale, il soffitto di una delle più famose opere rinascimentali: la Cappella Sistina affrescata da Michelangelo. Reimmaginando la storia della Creazione tramite le divinità Yorùbá – seguendo la stessa struttura architettonica del capolavoro romano – Rosales raffigura lo scafo rovesciato di un’imbarcazione di schiavi, composto dall’insieme dei suoi più iconici e rappresentativi dipinti, volti a elogiare il sacrificio e la forza del suo popolo. 

Harmonia Rosales, installazione monumentale per Master Narrative Tour, Spelman Museum of Fine Art, Atlanta, 2023, courtesy of ARTS ATL

«Esiste molta arte cristiana e molta arte sulla mitologia greca», spiega l’artista in un’intervista, «ma per consentire a noi – popolo della diaspora africana – di far parte della conversazione in ambito culturale e religioso, dobbiamo poter avere delle rappresentazioni di noi stessi» (Angela Oliver, “Master Narrative” at Spelman reimagines creation story through Yorùbá gods, in “ARTS ATL”, 2023). È così che il lavoro di Rosales assume lo scopo più nobile: non solo rendere omaggio e raccontare una diversa narrazione, ma anche aiutare le persone a prendere atto della propria identità e poter dire: “ci sono anche io“. Alla fine del viaggio, dopo aver conosciuto ed essersi ri-conosciuti nelle opere dell’artista, qualcuno potrebbe persino rendersi conto che, dopotutto, Yemaya non è poi così diversa da Maria. 

Eva Chemello

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