Il Sultanato dell’Oman alla Biennale di Venezia: Alia Al Farsi ci racconta il suo Paradiso.

Abbiamo intervistato Alia Al Farsi, curatrice e organizzatrice del Padiglione del Sultanato dell’Oman. È lei ad accoglierci e a guidarci alla scoperta di Malath-Haven, mostra collettiva che racconta la storica ospitalità omanita concretizzandola attraverso le opere degli artisti Alia Al Farsi, Ali Al Jabri, Essa Al Mufarji, Sarah Al Olaqi e Adham Al Farsi. Antico impero marittimo, l’Oman ha una lunga storia di protezione e sostentamento a viaggiatori provenienti da terre lontane. Il risultato è un ricco patrimonio artistico e culturale che Alia Al Farsi si impegna a promuovere e a far conoscere.

Tra le stanze del padiglione dell’antico stato arabo, media artistici diversi incarnano nel loro insieme i fondamenti dell’eredità multiculturale del paese in modo sorprendente.  Il dialogo che si instaura tra tutti i materiali e le voci diverse presenti sottintende una narrazione che suggerisce incontro, scambio e sperimentazione in modo tanto sofisticato quanto efficace. É questo il cuore concettuale del Padiglione dell’Oman. 

CATERINA ROSSI – Mi piacerebbe che ci raccontasse a cosa ha lavorato per la Biennale di Venezia di quest’anno. So che Malath- Haven trae ispirazione dal cuore stesso dell’Oman…

ALIA AL FARSI – Ho scelto quattro artisti diversi, di diverse “categorie”, io sono la quinta. Siamo un totale di cinque artisti omaniti. Il nome del Padiglione è Haven, ossia paradiso; identifico il paradiso con l’Oman, un luogo di pace, è così che si sentono le persone quando arrivano in questo paese, in pace. 

Il viaggio che la mostra propone inizia con l’opera di Ali al Jabri, Water. Tutto quello che vedi qui viene dall’Oman: si tratta di sculture di marmo in cui è racchiuso del legno profumato. È un’amalgama, una fusione tra due materiali molto diversi. Se ti avvicini puoi sentire profumo di cardamomo, una spezia che viene dell’India, mentre altre sculture celano dell’acqua alla base, come in un pozzo. Questa è una metafora: quando si arriva in un paese straniero per la prima volta, ciò che si cerca è la pace, un sentimento di serenità. Quest’opera ci parla di questo, della fortuna nella ricerca di una vita migliore.

Si prosegue con la mia opera che ho deciso di chiamare Alia’s Alleys.

Alia al Farsi, Alia’s Alleys, courtesy of National Pavilion of the Sultanate of Oman,  Venice Biennale. Photo credit Asim Al Balushi

CT – Le sue opere includono spesso lembi di stoffa che simboleggiano la ricca tradizione tessile dell’Oman. In questo caso, con Alia’s Alleys, siamo di fronte ad un’opera immersiva dove un’armoniosa miscela di tessuto si trasforma in un arazzo urbano che avvolge i visitatori. Qual è il progetto artistico alla base di questa installazione?

AAF – Sono nata a Muttrah, una città molto antica, ricca di storia. Impressi nella  mia memoriali ci sono i colori del paesaggio urbano della mia infanzia, con i suoi edifici antichi, le sue porte e le sue finestre tipiche, molto simili a quelle veneziane ora che ci penso. Sulla parete ho voluto realizzare un omaggio alla mia città. La stoffa viene direttamente dall’Oman: si tratta di frammenti di indumenti e ornamenti di vario tipo indossati dalle donne omanite; i colori li ho comprati qui. 

Le campiture sul pavimento si riferiscono alle varietà naturali dei paesaggi omaniti così come alle diverse etnie presenti nel paese. Infine, lo specchio che avvolge le pareti mi consente di dare l’illusione dell’infinito, come infinite sono le possibilità della città che ho creato. Questa città multi-materica e multiculturale deve continuare, voglio dipingerla in altri contesti, in altri paesi. 

Quest’opera è stata realizzata qui a Venezia in soli quattro giorni, è la prima volta per me fuori dal mio studio, è stata una sfida.

Alia al Farsi, Alia’s Alleys, courtesy of National Pavilion of the Sultanate of Oman,  Venice Biennale. Photo credit Asim Al Balushi

CT – La mostra si ispira al concetto di “malath”, in arabo “porto”, e riflette sulla profonda storia di accoglienza dell’Oman, celebrando la ricchezza degli scambi culturali e la forza dei legami umani. Trovo interessante che la parola “haven”, ossia paradiso, solitamente associata al concetto di giardino, in questo caso sia legata al termine “porto”… in qualche modo si fa riferimento a temi contemporanei molto urgenti, c’è un messaggio che volete trasmettere facendo riferimento alla storia del vostro Paese? 

AAF – Certamente. Il paradiso è un posto dove puoi trovare la pace. Molti dei viaggiatori che visitano l’Oman parlano della nostra gentilezza e della nostra ospitalità e di come il loro esodo termini in una sincera accoglienza. Per molti di loro l’Oman è il paradiso; certamente è il nostro paradiso, e volevo parlare di questo.

L’Oman è anche un giardino, contrariamente a quanto si possa pensare è un paese molto verdeggiante. Dunque un vero paradiso in molti sensi. 

CT – Per questo 60ª Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, lei è la curatrice e l’organizzatrice del Padiglione del Sultanato dell’Oman, a questo si aggiunge il titolo di imprenditrice e una gallerista… insomma lei è una figura di spicco nel settore dell’arte contemporanea dell’Oman e fonte di ispirazione a livello internazionale … 

AAF – Sì, ho aperto la mia galleria nel gennaio 2020. Nella mia vita ho fatto molte cose, ho tenuto mostre personali a Tokyo, Seoul, Parigi e Bruxelles e in molti altri paesi. Il desiderio di aprire la mia galleria c’è sempre stato, così è nata la Alia Gallery. Ho ricevuto molto sostegno, anche maschile, a cominciare da mio padre.

Adesso non resta che vedere cosa mi riserverà il futuro.

Alia Al Farsi, curator and artist, courtesy of National Pavilion of the Sultanate of Oman, Venice Biennale. Photo credit Asim Al Balushi

Alia Al Farsi ci accompagna nella tappa successiva del viaggio artistico con Breaking Bread, opera nella quale l’artista Sarah al Oalqi propone oggetti quotidiani in celebrazione delle tradizioni senza tempo delle donne omanite. Ancora una volta materiali diversi si fondono e diventano simbolo di identità culturale e di incrollabile resilienza femminile. 

Nella sala successiva, Essa al Mufarji in Madad affronta il tema del linguaggio, ispirandosi alla calligrafia e alla cultura araba citando poesie millenarie. Qui più che altrove, l’accento è posto sui caratteri di estraneità e lo spettatore è invitato a riflettere sulle differenze fra gli individui. 

The Fate of Outsiders di Adham Al Farsi chiude Malath- Haven con una coinvolgente metafora sulla diaspora. L’opera di visual art racconta il viaggio delle tartarughe verso il mare, un destino che si intreccia con quello della vita degli stranieri. 

Ciascun contributo rivitalizza il chiaro messaggio della partecipazione nazionale dell’Oman per questa Biennale, la cui ricchezza risiede nel dialogo multiculturale e nelle connessioni umane. 

Essa al Mufarji, Madad, courtesy of National Pavilion of the Sultanate of Oman,  Venice Biennale. Photo credit Asim Al Balushi

Caterina Rossi

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