Creare relazioni comunitarie, multimediali e tecniche. Intervista a Matteo Stocco

Se con Metagoon, un’indagine comunitaria sulle geografie future della laguna è stato presentato il progetto Metagoon, ideato dal videomaker Matteo Stocco, in questa seconda parte porteremo Matteo dalla parte dell’intervistato per ricostruire la sua attività poliedrica e ciò che lo ha portato all’ultimo progetto.

Talk con Matteo Stocco, Nicolò Porcelluzzi e Giovanni Paolin, La Parabola della montagna, Panorama, 15 dicembre 2023 – 27 gennaio 2024, Venezia, photo credits Camilla Rigo Langè.

CHIASMO MAGAZINE: Ciao Matteo, come ti presenteresti ai nostri lettori? Sappiamo che non ami definirti artista.

MATTEO STOCCO: Sono un videomaker, mi interesso di progetti video articolati, cerco di allargare gli orizzonti di questa pratica e di sfruttare lo strumento del video non solo in rapporto al videomaking, ma anche nelle sue logiche legate al display e al design. Artista è un termine che non mi connota, non mi sento un artista perché di base non ho una formazione come tale: pur avendo studiato Arti Visive dello Spettacolo all’Università IUAV di Venezia, mi sono poi dedicato allo studio della pratica del video e dell’interaction design. Mi piace considerarmi come qualcuno che lavora a degli strumenti che possono essere condivisi, usati e sfruttati da chiunque voglia intervenire e interagire con me nei contesti in cui vado a operare. 

Oltre a creare relazioni multimediali e tecniche, cerco di produrne  alcune in grado di attivare processi di comunità, coinvolgendo le persone nella realizzazione di contenuti. Anche girare un’intervista è un processo di attivazione di una comunità, nel piccolo, perché implica l’inserirmi in un contesto, entrarci trovando i modi per farlo e instaurare un rapporto di fiducia con l’intervistato grazie al quale, in un secondo momento, si sviluppa il racconto orale, che permette un arricchimento della piattaforma di Metagoon. I contenuti di questa piattaforma si estendono online grazie al blog che raccoglie articoli di altre persone, che spero nel tempo porterà a varie esperienze legate alla scrittura e alla condivisione di materiali rispetto alla macroarea tematica della laguna veneziana e delle lagune in generale. La speranza è che Metagoon possa estendersi offline grazie a esperienze espositive, che cerco di sfruttare non come dei momenti autoreferenziali ma di inclusione, dal momento che vengono invitati ospiti attivi in laguna per creare un network e potenziali ripercussioni sul territorio.

CM: Cosa è cambiato dalla mostra How to be look at Venice (2007) a Galleria Contemporaneo nel tuo modo di guardare alla laguna? 

MS: How to look at Venice è interessante perché implica una metodologia dello sguardo.  Da una parte c’è un procedimento del saper guardare e un approccio allo sguardo che attraversa  la ricerca e la costruzione di una consapevolezza del luogo che si sta osservando, che può passare tramite l’esperienza personale, impattando sul nostro modo di intendere un ambiente e un contesto. Al tempo stesso questa influenza deriva anche dalle letture, dalle parole degli altri: infatti, devo dire che tanto di quanto è accaduto da quel momento a oggi è la costruzione di una metodologia, che prima non c’era o comunque era molto ingenua, mentre quella di adesso l’ho costruita grazie agli esempi che ho trovato nel mio percorso, delle chiavi di lettura per affrontare l’osservazione. Ora la scommessa è provare a esportare quanto accumulato, in termini di bagaglio esperienziale, con Metagoon anche all’estero e capire come poter affrontare un’osservazione di un altro ambiente lagunare. 

CM: A tal proposito, qual è stata la ricezione di Metagoon fuori dai confini della laguna, ad esempio all’ADI Design Museum di Milano all’interno della mostra Italy: A New Collective Landscape ? L’evento Metagoon: Water Communities across the Adriatic and Pacific che si è tenuto lo scorso 27 marzo presso il Teatrino di Palazzo Grassi di Venezia è premonitore di un taglio che verrà adottato nelle tue ricerche, ovvero un approccio sempre più ampio a livello geografico con la volontà di scovare dei possibili dialoghi, legami e interrelazioni tra sistemi ecologici distanti, ma dalle caratteristiche simili?

MS: Prima della mostra Italy: A New Collective Landscape all’ADI ho avuto la possibilità di presentare il progetto Metagoon a una piccola conferenza che è stata organizzata il 12 settembre 2022 presso Careof, uno spazio indipendente per l’arte contemporanea alla Fabbrica del Vapore di Milano. In seguito a questa esperienza ho realizzato che è difficile inserirsi in un ambiente come quello urbano con una conferenza, in quanto un progetto come Metagoon, che tratta della specificità dell’ambiente lagunare, ha bisogno di essere introdotto in una maniera altrettanto specifica se non ci si è mai stati. All’ADI, invece, non ho avuto l’occasione di raccontare in un momento di public program il progetto, sebbene ci fosse un montaggio di Metagoon24 e la piattaforma poteva essere consultata; qui il pubblico ha avuto l’opportunità di  immergersi un po’ di più nel tema. A posteriori penso che ogni volta che Metagoon dovrà essere esteso in altri territori non prettamente lagunari, ci sarà la necessità di avere un’installazione abbastanza eloquente per comunicare l’ambiente stesso. È una riflessione in corso d’opera: per me è interessante capire come Metagoon si possa di volta in volta declinare in base agli spazi espositivi e alle relative necessità.

Alla mostra Metagoon: cronache di geografie future nello spazio di D.H. Office a Salizada Malipiero, l’idea era di mostrare la piattaforma e l’editing del video: ogni apertura della mostra doveva essere accompagnata da qualcuno che introducesse l’argomento, pur considerando che ci si trova già a Venezia e si conosce  in minima parte il contesto. La vera scommessa per il futuro è capire come portare il racconto delle lagune e di cosa vi facciamo anche in ambienti che non sono avvezzi a questo linguaggio e a queste terminologie. Dall’altra parte mi piacerebbe sviluppare un vademecum metodologico, di pensiero e di temi da portare in ambienti lagunari che non hanno un’esperienza del genere o capire se ce ne sono state di simili ed eventualmente entrare in dialogo con esse. Soprattutto, vorrei creare delle legacy, delle collaborazioni che possano portare a ospitare ricercatori, ricercatrici, videomaker, nell’ambiente lagunare al di fuori della laguna veneziana e contemporaneamente portare avanti una creazione di contenuti autonoma, condividendo le linee di guida di Metagoon. Visto che mi piace sviluppare degli strumenti, la mia speranza è che a un certo punto questi vadano da soli perché penso sia giusto che si costruisca un sistema autosostenibile anche a livello finanziario. Sarebbe bello che diventasse uno strumento riconosciuto dai governi e che, in qualche modo – sto parlando di fantascienza –, ci sia un riconoscimento economico per chi lavora.

Matteo Stocco, Metagoon, Careof, Fabbrica del Vapore, 12 settembre 2022, credits Matteo Stocco, https://careof.org/progetti/2022/matteo-stocco-metagoon.

CM: A pochi mesi dall’inizio del 2024 si sono tenute a Venezia due esposizioni sul tuo lavoro, una a Panorama e l’altra nello spazio di D.H. Office, nelle quali la tua ricerca è stata restituita visivamente in due maniere molto diverse. Come si è sviluppato l’iter progettuale per queste due mostre e come sei arrivato a concepire queste soluzioni?

MS: Ho avuto la fortuna, ma anche la sfida, di avere queste due mostre vicine; in realtà, in ordine cronologico sarebbe dovuta arrivare prima quella di D.H. Office e poi quella di Panorama. Nella seconda, si voleva tornare un po’ alle origini di Metagoon, ragionando su una speculazione legata al linguaggio science fiction, quindi ciò che ho voluto fare da subito è stata sfruttare lo spazio espositivo come un laboratorio, attivando dei workshop chiamando singoli artisti, artiste, ricercatrici, ricercatori, filmaker con i quali avevo piacere di collaborare e con loro valutare l’ipotesi di scrivere dei piccoli soggetti di fantascienza basati sulla laguna di Venezia; con qualcuno stiamo proseguendo il dialogo nella speranza di realizzare dei video un domani. Sono molto soddisfatto degli output, tanto che vorremmo arrivare a produrre delle pubblicazioni in cui divulghiamo questi prodotti e spero di ricreare un piccolo evento a Panorama dove distribuirle. Il gioco era costituire una mostra che lavorasse su immaginari inesistenti, totalmente elucubrando anche su delle possibilità fantastiche e assurde, pur partendo da qualcosa “sul reale”, che poi diventa surreale e dall’altra parte poter ragionare su geografie del futuro, su una prospettiva che potesse essere reale ma potesse portare allo stesso tempo al fantastico. Chiedere a delle persone di ragionare su un futuro della laguna tra 500 anni significa anche poter provare ad astrarre quella che è la forma attuale dell’ambiente lagunare: è un ragionamento che trascende anche la laguna in sé toccando ambiti non solo ecosistemici, ma anche sociali, politici, economici, uno strumento di indagine su come le persone possano reagire a un esperimento del genere.

Exhibition View, La Parabola della montagna, Panorama, 15 dicembre 2023 – 27 gennaio 2024, Venezia, photo credits Camilla Rigo Langè.

CM: Cosa è emerso dalle mappe realizzate e dai workshop tenutisi in occasione dell’ultima esposizione?

MS: Relativamente alle mappe ricevute è interessante constatare che sono molto ancorate alla contemporaneità e al presente, non trascendono molto il trascorrere del tempo. Tuttavia, le mappe restituite sono state poche: è difficile ottenere dei risultati se non si programma un momento di esposizione; con Zoographer, ad esempio, si ottengono sempre risultati, perché le persone che partecipano sanno che ci sarà un momento di esposizione. Consapevole di questo, ora dovrei trovare una modalità per riproporre la raccolta delle mappe e rimetterle in circolazione. Degli altri workshop sono molto soddisfatto, perché hanno sbloccato degli incontri con delle persone e dei professionisti che stimo, con i quali stiamo cercando di portare avanti una potenziale collaborazione, un intreccio di riflessioni, ma anche output concreti. In Oltrehumana: Vivere nel collasso. Un laboratorio di cartografia psicogeografica con Barena Bianca e Amina Chouaïri è stato molto bello vedere come si è riusciti a portare delle persone che non si conoscono a riflettere sulle tematiche molto intime del sentire a livello psichico l’ambiente: abbiamo riempito una mappa di riflessioni ed è qualcosa che può essere esplorato e portato avanti, è una specie di deriva psico-geografica nella sua forma base, interessante e necessaria. Con Project Raccogliere. Una conversazione con Sigrid Schmeisser e Alberto Barausse, invece, è stato interessante quanto utile l’incontro di professionalità che lavorano in laguna per poter completare il proprio sguardo, tornando indietro al discorso di sguardo e consapevolezza relativamente all’ambiente lagunare.

Veduta di Metagoon: cronache di geografie future, D.H. office spazio Malipiero, Venezia 2024. Courtesy di D.H. Office e Matteo Stocco.

CM: La dimensione dell’archivio è caratteristica dei tuoi progetti, da Showthesizer, a Zoographer, fino a Metagoon. La definizione di “archivio impossibile” è stata attribuita da Cristina Baldacci in particolare a quest’ultimo progetto: la componente dell’impossibilità come diventa un aspetto positivo e come si sviluppa?

MS: Ho riscontrato molto di quello che Cristina ha scritto nel libro Archivi impossibili (2017) nella mia pratica; al contempo, ultimamente sta tornando nella mia testa un altro libro che trovo molto accostabile a quello di Cristina, tanto che penso che ci siano dei rimandi indiretti ma consistenti, e che è un libro di qualche anno fa di Tomás Maldonado, Memoria e conoscenza. Sulle sorti del sapere nella prospettiva digitale. Per me il valore dell’archivio e il riconoscimento della sua impossibilità stanno proprio nel constatare la necessità del costruire memorie, trascendere il valore di ricerca del progetto sulla laguna o sugli animali, perché anche quella è una sorta di ricerca non de facto ma tangenziale su quella che è una visione archivistica di un sentire personale rispetto ad alcune tematiche. Quando si chiede ad alcune persone di disegnare un animale di fantasia per poi proiettarlo nella propria città da un punto di vista antropologico si vanno a toccare delle corde che riguardano il vivere quotidiano e il sentire la propria città e si esprimono attraverso il disegno delle pulsioni recondite, ma che allo stesso tempo riflettono una necessità.

Il mio lavoro non è solo quello di fornire questi strumenti, ma anche di archiviarli e costruendo questo archivio si va a creare una forma di memoria collettiva, che sia da una parte legata all’ambiente – riproponendo un ambiente in forma più scientifica – e dall’altra parte, attraverso un elemento fantastico e la fantasia delle persone, ripercorrere il sentire di un luogo. In India, dove abbiamo portato Zoographer, in quel momento abbiamo cristallizzato l’immaginazione dei bambini, che ci ha colpito perché ci aspettavamo delle cose incredibili, mentre i bambini hanno riproposto dei temi animali molto realistici (elefanti, galline, gatti): probabilmente hanno proiettato il vissuto di ogni giorno e ciò che hanno intorno; la loro visione non era influenzata da ulteriori schemi mentali e distanze dall’elemento naturale. In Italia invece i bambini vedono poco gli animali e quelli che vedono sono di fantasia, quindi sono avvantaggiati in un discorso di appropriazione fantastica. Sarebbe interessante sottoporre a un antropologo o un’antropologa questo archivio per generare delle riflessioni.

L’accezione di archivio che do a questi materiali è l’archetipo principale attraverso il quale costruisco delle narrazioni e delle opportunità di narrazione; l’archivio è lo strumento che si genera di conseguenza attraverso la costruzione di altri dispositivi per raccogliere informazioni e dati che arrivano dal folklore, dal racconto orale, dagli scienziati. Poi c’è la costruzione di uno strumento che deposita il materiale, ossia l’archivio e la forma web.  C’è infine un terzo livello che è l’esposizione dell’archivio e il suo riutilizzo, nella forma più diretta Metagoon24 con la performance musicale, la mostra, il laboratorio, nell’accezione di creare un immaginario che sia, dal punto di vista utopico, una specie di ricordo collettivo e una geografia della memoria e dall’altra parte una necessità mia di costruire uno strumento che possa viaggiare nel tempo, nel senso che è necessario depositare dati, visioni, immagini del reale con una grande responsabilità di conservazione e preservazione per poi poter – si spera – nel futuro aver sempre più la possibilità di guardare indietro, creando una specie di macchina del tempo. Il time lapse è uno strumento semplice che può condensare tantissime informazioni e allo stesso tempo dare una visione in un tempo ristretto e limitato – che è il tempo della fruizione attuale del presente -, e attraverso quella sbloccare delle osservazioni che altrimenti sarebbero impossibili qualora non ci sia il depositario di una memoria.

Matteo Stocco, Showthesizer, sito web, https://www.matteostocco.net/showthesizer/

CM: La prospettiva di rendere Metagoon una piattaforma che si autoalimenta o che lo fa attraverso l’azione dei suoi fruitori è sintomatica di una tua volontà di distacco per approfondire nuove tematiche, intraprendere nuove ricerche o sviluppare nuovi progetti?

MS: La speranza è quella di espandere la piattaforma sia a livello tecnico, sia a livello metodologico, potendola affidare anche ad altri e aprire sempre di più, perché vorrei sempre più assumere una forma di intervento diversa; non vorrei essere al centro della piattaforma, ma delocalizzarmi. Mi piacerebbe consegnare a un gruppo allargato uno strumento che ho costruito. Ci sono delle questioni che vorrei chiudere rispetto a dei progetti che ho aperto nel passato e ho degli interessi rispetto ad altri che vorrei iniziare ad affrontare, ma prima ho bisogno di chiudere dei capitoli. Un progetto da concludere che sto portando avanti con Enrico Casagrande e Matteo Primiterra dal 2012, una sorta di biopic sul lavoro di Roland Wirtz, un fotografo di Berlino, è anch’esso un lavoro che riflette tantissimo sulla memoria, sul tempo e sul deposito dei materiali: l’idea di dialogare con una sorta di archivio potrebbe derivare da Wirtz stesso. Abbiamo anche molto materiale raccolto tra il 2015 e il 2017 in India e che è stato montato per una mostra ma che, a mio avviso, non ha ancora preso una sua forma significativa. Anche per Metagoon ho altre idee da sviluppare e per capire come evolvere è importante la presenza di una voce esterna come quella di Alice Ongaro Sartori. 

Intervista realizzata da Elena Barison e Costanza Mazzucchelli

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