Camminare nel fango senza lasciare tracce. Intervista a Gabriele Longega

La ricerca di Gabriele Longega, artista visivo con base a Venezia, si concentra sulle relazioni tra ecologia e desiderio, tra vegetazioni e corpi, ed è volta in particolare a indagare gli aspetti primitivi ed esoterici di parchi e boschi e altri luoghi di confine. La sua produzione, che si muove tra installazioni site-specific, sculture e performance, da novembre 2022 si è ampliata ulteriormente con il progetto Camminare nel fango senza lasciare tracce: una ricerca basata su pratiche di lettura collettiva a partire dai testi di Luciano Parinetto (Brescia, 1934-2001), filosofo eretico, marxiano, ex-docente di Filosofia morale all’Università degli Studi di Milano. Le letture – affiancate da camminate di gruppo, incursioni/esplorazioni, esercizi di scrittura, pratiche dell’inconscio – sono destinate a riflettere collettivamente su temi quali corpo, utopia, alchimia, natura, diavolo, streghe, omosessualità, desiderio e rivoluzione, tutti ricorrenti nei testi del filosofo bresciano.

Gabriele Longega, Camminare nel fango senza lasciare tracce, 28 ottobre 2023, all’interno del progetto Radunanza. A tooling site for unlearning, a cura di Campo23 – Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Photo credit Marco Farmalli

CHIASMO MAGAZINE – Ciao Gabriele e benvenuto su Chiasmo. Come prima cosa vorremmo chiederti di presentarti a chi legge.

GABRIELE LONGEGA – Mi intendo artista visivo. La mia ricerca come artista è molto precisa, indirizzata nell’ambito del rapporto tra ecologia e desiderio, con un focus sui parchi e i boschi utilizzati come luoghi di incontro tra uomini; mi interessa la precarietà, l’esoterismo, l’instabilità di queste geografie del desiderio e delle comunità senza tempo che le abitano, questi luoghi che appaiono e scompaiono, e che sono capaci di generare dall’interno dei mondi altri, diabolici. Su questo Parinetto mi viene molto in aiuto, perché, ad esempio, quando parla della strega come un essere errante che attraversa i sessi, i ruoli, le classi, ed emigra verso il luogo del godimento, del desiderio, dell’utopia popolare del paese di Cuccagna, ci leggo una similitudine con quello di cui parlo anch’io. Sebbene Parinetto non parli esplicitamente di questi luoghi di “cruising”, trovo che l’assonanza con il Sabba, cioè un raduno o ritrovo nascosto dove si compiono tra le altre cose attività sessuali clandestine, fuori norma, sia molto forte. I suoi testi perciò mi forniscono un impianto teorico-storico che per il mio lavoro è di grande aiuto, suggerendomi via via spunti o sfumature sempre diverse per ampliare la mia ricerca. Il mio percorso di analisi su Parinetto non segue una direttiva accademica o di speculazione autoriale, quanto invece la scelta di una ricerca che sia condivisa con pratiche partecipative e relazionali.

Attualmente, per esempio, sto approfondendo il vagabondaggio e c’è molto da scoprire; Parinetto parla di queste bande di vagabondi che vivono vicino ai fiumi, ai boschi, alle paludi, in case che vengono descritte come fatte di fango per mettere in delatoria correlazione un marciume esterno con un marciume morale interno; mi interessa molto questa immagine così come le accuse che venivano mosse di vicinanza al diavolo, al demoniaco e all’alchimia. Delle tematiche che sembrano antiche e sorpassate ma che invece risultano attualissime; in Parinetto, l’alchimia ci racconta il rapporto perso tra uomo e natura, un rapporto in crisi che va riscritto e reimmaginato. Un rapporto che per Marx è alienato dai modi di produzione in un contesto socio-economico capitalista in cui anche la natura è soggetta a sfruttamento. Perciò sia uomo che natura vanno entrambi disalienati e solo così si potrà ristabilire un rapporto nuovo, liberato.

A Terrapolis ho affrontato i concetti di natura e di contronatura e cosa noi interpretiamo come tali. In questa occasione ho messo in dialogo Parinetto con Colette Guillaumin, femminista materialista francese della stessa età di Parinetto e in analogia con lui per i suoi temi, sebbene da punti di vista diversi; Guillaumin esamina cosa è naturale e cosa interpretiamo come gruppo naturale, per esempio come abbiamo imparato da un sistema patriarcale e capitalista a naturalizzare i ruoli, il rapporto tra uomo e donna, e la sua costruzione su gerarchie oppressive. Per Parinetto la naturalità è sinonimo di moralità e perciò ciò che avversa il potere è considerato contro-natura. Tutte le “diversità” che nella storia non si adattano alla ideologia borghese-capitalista vengono gradualmente contronaturalizzate (e streghizzate) con leggi e regole sociali che determinano ciò che è naturale e ciò che non lo è: ad esempio, il vagabondo è una figura che viene perseguitata, sterminata e marginalizzata, una figura che rifiuta il lavoro e viene costretta, dopo essere internata in un centro di impiego coatto, a un ethos del lavoro.

CM – Come è avvenuto l’incontro con Parinetto e che cosa ti ha spinto a continuare a indagare i suoi testi?

GL – Circa sette anni fa stavo scrivendo la tesi di Arti Visive e Curatela su utopia e queerness, partendo da Cruising Utopia di José Esteban Muñoz, un testo che ancora non era stato tradotto in italiano da Nero e quindi circolava relativamente poco, ed è durante una conversazione con Simone Frangi, che tra il 2017 e il 2018 insegnava a Brera, che mi fu consigliato di leggere Parinetto per approfondire ulteriormente la relazione tra utopia e sessualità. Il suo corso universitario infatti lo attraversava sapientemente, proponendone la prospettiva radicale e marxista non senza difficoltà, e da poco, nel 2015, Corpo e rivoluzione in Marx di Parinetto era stato ristampato da Mimesis. Nella tesi ho inserito Parinetto in modo molto laterale e poi non ci sono più tornato sopra, per riprenderlo in mano successivamente.

Il momento in cui ho pensato di recuperarlo in modo consistente ha coinciso con l’idea di fare uno scambio di studio, quindi sono andato a Roma da Porto Simpatica, dove ho proposto di iniziare questo programma di approfondimento, un’idea che si differenzia un bel po’ rispetto a portare avanti a livello teorico e di scritti o di studi un autore; la mia proposta era appunto di riprendere il pensiero di Parinetto, di aprirlo e di creare degli incontri, dei vagabondaggi, dei momenti in cui si sta insieme e se ne discute. Parinetto stesso, nell’introduzione di un suo libro, dice che ciò che scrive lui non è un dogma o una verità, ma qualcosa di incompiuto, aperto, in divenire, che va offerto al dibattito, al confronto. Molti suoi testi seppur presentando una scrittura difficile, esoterica, involuta, che si continua a rimangiare in sé stessa e sembra che non finisca mai rendendo difficile ai più l’approccio, li trovo però molto evocativi e che ben si prestano alla pratica di lettura, perché leggendoli a più voci hanno un potere molto forte, e così ci si aiuta a vicenda, ci si accompagna nella lettura. In più, trattando tematiche che sono ancora attuali e con un taglio molto radicale, proprio perché Parinetto si distanziava da dogmi e identitarismi politici, i suoi testi sono ancora stimolanti da leggere adesso.Il progetto per Porto Simpatica era stato costruito non troppo casualmente, ma a partire dal fatto che io arrivavo da zolforosso, che è uno studio di artistə e curatorə che ha scelto un nome con un diretto riferimento all’alchimia, e andavo verso Porto Simpatica, che similmente ha un nome che riprende sia Portuense (nome del quartiere in cui si trova), e perciò l’idea del porto come luogo di attraversamento e di scambi, e Simpatica perché negli spazi di Porto Simpatica aveva lo studio la Maga Simpatica, una cartomante televisiva; ci accomuna un’affezione verso la magia e la chiromanzia. Questo scambio aveva la comunanza dell’essere artistə che si inserivano all’interno del panorama e del sistema arte con una dichiarazione di vicinanza a un mondo magico, esoterico, con un impianto immaginifico e trasformativo; inoltre, la loro esperienza nelle pratiche partecipative, la capacità di coinvolgimento e apertura verso forme altre sono stati un ottimo punto di partenza e di accrescimento anche per me

Gabriele Longega, Camminare nel fango senza lasciare tracce, 2023-in corso (foto in basso a sinistra: 26 luglio 2023, in occasione di Parmossa Festival, a cura di Pianeta Fresco. Photo credit Pianeta Fresco)

CM – Cambia molto la pratica delle letture condivise a seconda del contesto?

GL Sì, moltissimo; i contenuti e le diverse attività proposte lasciano spazio all’imprevisto, anche se avanzano da delle considerazioni contestuali. La prima passeggiata, per esempio, partiva da Porta Furba, che si chiama così perché si dice che nel Seicento davanti a questa porta i pellegrini che arrivavano a Roma venivano derubati dai mendicanti e dai vagabondi che con metodi furbeschi li raggiravano. Siamo partiti da lì perché la figura del vagabondo, della setta segreta, del mondo furbesco è una tra le figure della diversità parinettiane, e poi siamo andati al vicino Parco della Caffarella, consigliatomi dall’artista e amico Simone Bacco, interessante perché c’è un casolare dove ancora pascolano le pecore e ci sono ancora i pastori, dentro la città; nel Seicento ha un’aura diabolica e fa parte di quella schiera di figure trattate con sospetto perché vivono nei margini e vivono una vita che rimane legata alle tradizioni popolari di arti oscure, tra natura e magia. Durante gli incontri successivi, invece, abbiamo fatto anche delle pratiche dentro lo spazio di Porto Simpatica e un’altra volta un’incursione su passaparola in un forte militare abbandonato lì vicino. La volta seguente Simone Frangi è venuto a parlare, aggiungendo così un’ulteriore modalità.

Sicuramente cambia molto: fare una passeggiata e leggere ha un impatto diverso che fare una lettura al chiuso, le persone la vivono in modo diverso, e per me è interessante valutare e vedere come si possa creare un momento organico, ci si conosce e si sta insieme, e come funziona; ogni volta sono persone nuove, alcune si conoscono già, altre meno… Sono sempre esperimenti in divenire. Concetto importantissimo in Parinetto, il suo è infatti un marxismo contaminato da Deleuze e Guattari, distante da un marxismo di stampo leninista, e concentrato su una centralità del desiderio e del divenire; è bello perché oggi di desiderio e utopia parliamo molto e Parinetto li affronta in modo molto rigoroso e ampio.

Quando mi stavo accordando con Porto Simpatica avevo mandato una proposta, un programma che avrebbe dovuto svilupparsi canonicamente tra incontri, talk e relatorə, poi invece quando sono arrivato in studio ho voluto prendere coerenza da dove arrivavo io, cioè uno studio collettivo, in cui lo stare insieme è la natura che porta avanti lo studio ed è il modo di operare anche di Porto Simpatica, si decidono le cose insieme, si fanno riunioni, tutto si costruisce attraverso la relazione umana che porta avanti anche il lavoro; perciò appena arrivato ho abbandonato una programmazione calata dall’alto e ho preferito procedere ascoltando le persone intorno, vivendo con loro lo studio, i loro posti preferiti e via via ho deciso sia quando fare gli interventi sia il dove. Uno svilupparsi spontaneo che è nato sulla dimensione della lettura collettiva stessa, che appunto prevede una socialità e uno stare insieme, perciò il fare le cose assieme è stato il moto. L’ho chiamata poi una ricerca condivisa, perché mentre ero a Roma e durante i primi quattro appuntamenti a Porto Simpatica ho iniziato a recuperare quasi tutti i libri di Parinetto e via via che li compravo e li leggevo aggiungevo delle cose. Questo modo di procedere è stato coerente con quello che volevo fare e con i contenuti da presentare, dei laboratori in cui si guidano le persone più che delle lezioni frontali, allontanandomi da una verticalizzazione del sapere. Le domande di un incontro trovavano poi rafforzamento nell’incontro dopo e nella scelta dei testi, che servivano a meglio rispondere ai dubbi sollevati; non è stato un decidere in modo totalmente arbitrario di cosa parlare, ma di dare seguito ai concetti o alle domande che avevano suscitato più interesse. L’interazione con le persone è molto importante per smontare e per capire anch’io cosa magari do per scontato o cosa recepisce una persona che ha conoscenze diverse. Mi sono posto molti interrogativi e questo è bello.

È un vero e proprio vagabondare, anche tra i testi. Parinetto non si risolve nel fornire delle risposte essenziali, ma il suo approccio dubitativo, cioè dei contenuti che definirei fecondi, permette una gestazione del sapere e del pensiero in continuo divenire. Parinetto ha scritto tanto, ovviamente una produzione limitata, ma a ogni lettura trovo nuove sfumature e punti diversi, dunque credo che sia un autore che mi permetterà all’infinito nuovi appuntamenti, in un concatenarsi di concetti.

CM – Pensando anche al tuo lavoro, cosa ne pensi della discussione sulle ricadute politiche nell’arte partecipativa? 

GL – Io sto lavorando soprattutto sulla dimensione di vicinanza e mi interessa che la ricerca su Parinetto emerga a partire da queste relazioni di prossimità, con una propagazione che muove dal basso, perché i mondi dal basso e alla rovescia, che sono appunto quelli dei vagabondi e delle streghe, permettono una messa in discussione del reale, attraverso l’immaginazione, il desiderio, l’utopia, la magia. Nei documenti dell’inquisizione di 500 anni fa – la caccia alle streghe, la messa alla gogna, la streghizzazione della diversità per normalizzare, per delineare com’è e come dev’essere, cosa e chi va marginalizzato, escluso, sterminato – si trova una griglia inquisitoria, come dice Parinetto, che trovo ancora molto attuale, siamo tristemente ancora lì.

L’arte partecipata credo quindi funzioni se parte dal basso, che nasca cioè come una forza propagativa, di urgenza e necessità, come un’onda che piano piano cresce. L’aspetto pedagogico, educativo, delle letture collettive mi interessa per creare dei momenti in cui concetti filosofici e teorici siano tolti, o non lasciati solo, a una dimensione accademica e universitaria, ma si possano mettere in pratica per esempio con micro-politiche del desiderio e micro-relazionalità, cioè un modo di procedere guattariano, concentrandosi sul piccolo e molecolare, senza lasciare troppo spazio al molare.

Segretamente ci si raduna in pochi o in molti, si punta sull’aspetto qualitativo e non quantitativo, per non assimilarsi al modo di produzione del capitale, del guadagno, del profitto, per concentrarsi invece nella dimensione umana. Il titolo Camminare nel fango senza lasciare tracce volevo che avesse un riferimento al segreto e in questo radunarsi quando si è in pochi è possibile creare una dimensione più intima e sentirsi molto meglio.

Gabriele Longega, Domani nascerò e sarò qualcun altro in un altro luogo, 2022, fango, cartongesso, legno, collage su carta, ca. 40x20x35 cm. Photo credit Erik Falchetti, courtesy Traffic Gallery

CM – Qual è il rapporto che lega questa tua produzione “immateriale” delle letture condivise alla tua ricerca su Parinetto con la produzione “materiale” di opere d’arte e con l’attività curatoriale?

GL – Si contaminano queste pratiche; Parinetto sicuramente mi influenza e mi suggestiona. Come artista o curatore quello che mi interessa molto di Parinetto, e mi ha molto stimolato a tal punto da volerlo portare nell’ambito artistico e non relegarlo solo a quello accademico, credo sia il fatto che abbia creato un discorso filosofico tessendo una costellazione di saperi e di figure, tenute saggiamente insieme grazie a una ricerca su fonti rigorose scientifiche, storiografiche, e che è ciò che gli permise di parlare di questioni ritenute deviate e devianti (come diavolo, omosessualità, stregoneria, diversità, etc) e assicurarle a una dialettica filosofica politica e contestatrice. Come artista perciò ho imparato da Parinetto l’importanza di creare una cosmologia, una costellazione di immagini e temi di ricerca, che messe insieme permettono di costruire un discorso forte, radicale, che si contrappone al presente, criticandolo, contrastandolo, guardando sia al futuro sia al passato. Parinetto l’ho scelto perché è molto visivo, forte, presenta un immaginario tanto familiare quanto ancestrale, e quindi a tuttə noi noto, e questa è la cosa che mi interessa di più; la pratica della lettura collettiva, partecipativa, la creazione di questi raduni e dello stare insieme, della setta segreta, è un continuo processo additivo, mi dà degli spunti per aggiungere delle cose, delle riflessioni e trovare delle assonanze, come direbbe Parinetto è una surdeterminazione.

La collettività che perseguo con la pratica della lettura collettiva è molto debitrice anche di zolforosso, dove lo stare insieme, il portare avanti un progetto influenzandosi a vicenda è fondante, e attraverso la lettura collettiva si fa una messa in pratica di cose che pensiamo e facciamo, non si rimanda solo a una concettualizzazione di questi. L’idea di fare letture condivise c’era in latenza da un po’ e probabilmente Parinetto è l’autore che a un certo punto mi è risuonato di più, che potesse funzionare meglio, che era legato al mio lavoro, alla mia pratica artistica, e a zolforosso.

CM – Come ti sei inserito nella dimensione di  zolforosso e che rapporto hai instaurato con essa? 

GL –  Mi sono inserito in zolforosso dopo la mia formazione, fatta a Milano e poi a Glasgow, dove tra le altre cose sono stato parte di un programma educativo alternativo, che si chiama School of the Damned, ovvero una scuola nomade composta da un gruppo di artistə che cambiano di anno in anno costituendo loro stessi l’istituto. Alla ‘scuola dei dannati’ ogni mese ci si ritrova, si scelgono le attività da fare insieme, ci si conosce e confronta; è stata anche questa esperienza che ha dato forza al mio approccio collettivo e alla pratica di un fare arte condiviso. Fresco di questo attraversamento, che per me è stato di grande aiuto – mostrandomi la possibilità di un passaggio dalla teoria alla pratica, facendomi sentire la forza della collettività, delle decisioni in gruppo – quando poi sono tornato a Venezia ho trovato una dimensione di lavoro collettivo molto simile e che già esisteva dal 2017, dentro cui mi sono inserito da dicembre 2021.

Questo fare assieme genera un organismo che va alimentato dalle persone che sono al suo interno e lo tengono vivo, rinnovandolo di continuo; questo procedere lo assimilo molto alla dimensione del coltivare, del dono, del donare il mio tempo, le mie capacità, il mio lavoro e metterlo a disposizione per zolforosso in una redistribuzione delle risorse comuni; ed è sicuramente diventata una parte importante che influenza la mia pratica e non solo.

Dopo aver conseguito il Master IUAV in politiche culturali, questioni di genere e di sessualità, volevo portare avanti uno spazio in cui si potesse dibattere insieme rafforzando la propria capacità critica e dialettica sulle narrazioni del presente, ma farlo al di fuori dell’accademia; una ricostruzione di spazi per alimentare la necessità di confronto, e abbandonare i social network che appiattiscono qualsiasi forza e spinta critica, di riflessione, del parlare. Mi interessa rivendicare perciò uno spazio fisico in cui si condividono anche i corpi, essendo vicini, e la voce; la lettura collettiva permette infatti una pluralità di voci, frequenze e velocità di letture diverse, in un incespicare quasi sabbatico. Durante il Sabba, di cui parla Parinetto, infatti, si ballava in cerchio, ma con il volto rivolto verso l’esterno, e in una condizione di anonimato, si creava così una moltitudine di centri e non uno unico. Moltiplicare i centri, le voci, gli sguardi, i sessi, le classi, le provenienze, ecc., in una sorta di accrescimento che è ciò che interessa a me ovvero aprire una ricerca, in questo caso su Parinetto, per suscitare un interesse per coltivare, inseminare, proliferare.

Intervista realizzata da Elena Barison e Costanza Mazzucchelli

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