La mutazione di Tempesta Gallery per mano di Aljoscha
Il prossimo 28 giugno si concluderà l’esperienza milanese dell’artista ucraino Aljoscha, che ha saputo trasformare la Chiesa di Sant’Angelo, prima, e Tempesta Gallery poi, in universi paralleli in cui «bioismo, bioetica e ingegneria paradisiaca» fanno da padroni. Mutative Transitions into Organic Utopia è una perfetta sintesi della visione dell’artista, in cui utopia, estetica e scienza si mescolano nella progettazione di un futuro moralmente e biologicamente arricchito.
Lo spazio milanese, noto per il suo impegno nella promozione di progetti artistici legati all’ambiente e alle dinamiche della società contemporanea, ha trovato in Aljoscha (Lozova, 1974), famoso per le installazioni dal gusto psichedelico, un alleato prezioso, nella costruzione di un mondo non riconducibile alle nostre rigide categorizzazioni, «prototipo per un nuovo ambiente fisico di un futuro utopistico» (Emma Sedini, A Milano le opere di Aljoscha immaginano l’utopia del futuro, in ‘’Artribune, 2024). Le sale della galleria, semplici e pulite in pieno stile white cube, accolgono per l’occasione un organismo vivente proveniente dal futuro, solo apparentemente fragile, connotato da stupefacenti scintille di colore.
Eudemonismo e bioetica sono alla base della recente ricerca dell’artista: filosofie antichissime, che risalgono agli albori della storia umana, trattano il primo la dottrina morale che, riponendo il bene nella felicità, la persegue come fine naturale della vita, mentre l’altra, in stretto rapporto, esamina le questioni etiche legate alle scienze biomediche, coinvolgendo filosofia, medicina, giurisprudenza, e molto altro.
Inglobare l’alveo delle pratiche artistiche all’interno di queste filosofie, raggruppate con il termine bioismo, per Aljoscha rappresenta il tentativo ultimo di creare nuove forme di vita, sviluppando una nuova estetica per gli organismi del futuro. È un mezzo, insomma, tramite cui far evolvere l’oggetto artistico in infinite possibilità visive ed espressive, generando un’arte basata su vitalità, diversità, complessità e deviazione.
Le sculture, di materiale plastico sottile, malleabile e mutevole alla luce, attraggono e inquietano allo stesso tempo. Attraggono perché soprannaturali e bellissime, inquietano perché, in fondo, ci ricordano la condizione della vita umana: un groviglio apparentemente illogico, composto da una moltitudine di infiniti e piccolissimi microcosmi. Meravigliosi, ma altamente complessi.
Queste forme sospese aleggiano in uno stato di costante evoluzione e mutazione, dettata dalla saggezza etica e dal biofuturismo, non dal caos e dalla violenza. Propongono, a ben vedere, un’ipotesi di riprogettazione umana trasformata in forme luminose, le quali viaggiano verso una nuova, auspicata, era della ragione, segnata da pensieri di transumanesimo e abbondanza.
Per come siamo abituati a ragionare – e a osservare – di fronte alle opere che fluttuano negli spazi bianchi della galleria, abbiamo la fortissima tentazione di associarle a forme familiari: alcune somigliano a ragnatele, altre assumono sembianze zoomorfe, altre ancora sembrano coralli o assurde formazioni di minerali fuoriusciti da chissà quale luogo lontano. Ed è qui ci sbagliamo. Missione dell’artista, infatti, è «creare nuovi prototipi di estetiche biologiche, pur sapendo già che le persone vi ritroveranno modelli familiari» (Emma Sedini, A Milano le opere di Aljoscha immaginano l’utopia del futuro, in ‘’Artribune, 2024). È un’incorreggibile debolezza umana, la nostra, sintomo della generale incapacità di accogliere il nuovo, il diverso, lo sconosciuto.
Ogni pezzo, testimonianza delle mutazioni e della bellezza che queste possono dispiegare, parla di un possibile mondo in cui l’abolizione della sofferenza è un passo verso la beatitudine, in cui non esiste la paura dell’ignoto, il giudizio e il pregiudizio, e in cui persino i concetti di giusto e sbagliato, di bene e male, si svuotano dei rigidi significati che siamo abituati a infondergli, perché, semplicemente, non più necessari.
Entrare a Tempesta Gallery significa proprio questo: oltrepassare le rigide barriere cui la società odierna ci ha abituato, per provare ad immaginare forme di vita in cui ingegneria, biologia, estetica e filosofia si mescolano in armonioso equilibrio aprendo un varco, da un lato, su un possibile futuro e, dall’altro, sulla nostra coscienza. Nel mondo di Aljosha, infatti, non esiste l’essere umano come lo conosciamo, capace di sfruttare risorse e persone, di uccidere il pianeta che lo ospita, di compiere massacri in nome di confini o di religioni. Quello immaginato dell’artista è un mondo paradisiaco, gentile, il cui imperativo è un invito all’illuminazione etica, e in cui le sfide del progresso biotecnologico convergono con le minacce etiche della responsabilità morale e della solidarietà sia umana che inter-specie.
La bellezza per la diversità, nelle sue deviazioni gentili ma permanenti rispetto a ciò che consideriamo normale, è la forza trainante della produzione artistica di Aljoscha, ed è ciò che questa mostra intende celebrare. Nel concetto di biosfera – intricata rete di vita – l’artista vede il macrocosmo della condizione umana, in cui «la tenerezza prende il posto della crudeltà autodistruttiva, e la serenità si conquista e si perde nei momenti di autoriflessione» (Emma Sedini, A Milano le opere di Aljoscha immaginano l’utopia del futuro, in ‘’Artribune, 2024).
Mutative Transitions into Organic Utopia è, in ultima analisi, la sintesi dialettica tra etica e altruismo. Un invito alla contemplazione e all’accettazione, per un futuro gentile.
Eva Chemello