Bologna Art Week: 50 anni di Arte Fiera 

Main Section Arte Fiera Bologna 2024

Domenica scorsa si è conclusa la cinquantesima edizione di Arte Fiera Bologna che si è riconfermata come fiera artistica più longeva in Italia. Inizialmente conosciuta come Fiera Campionaria, nel 1974 si è aperta al pubblico con una piccola sezione dedicata all’arte moderna e contemporanea il coinvolgimento di dieci gallerie e, malgrado la sua esiguità, ha riscosso un successo immediato; per rendere percepibile la dimensione del riscontro del pubblico, basti considerare che nel 1975 il numero di gallerie coinvolte era già aumentato esponenzialmente, passando dalle dieci dell’anno precedente a duecento, un numero che si è poi mantenuto pressoché stabile fino a oggi. Quest’anno, infatti, la fiera ha visto la partecipazione di centonovantasei gallerie, i cui stand erano suddivisi nelle sezioni fieristiche: la Main Section e il relativo Percorso incentrato sul disegno, e tre sezioni su invito, Fotografia e immagini in movimento, Pittura XXI e Multipli.
L’ideazione e l’organizzazione di questa manifestazione, ormai divenuta appuntamento immancabile per chi lavora nel settore artistico ma non solo, è stata il sintomo del clima innovativo, vivace e stimolante che animava la città negli anni ‘70. La fiera di quest’anno è stata un’occasione per indagare e far conoscere il contesto da cui si è originata ArteFiera e il public program si è concentrato sugli anni Settanta e sul periodo di fervore cittadino che ha contraddistinto gli ambiti delle arti visive e dell’architettura e ha permesso di immaginare nuove forme di rapporto fra arte, politica e società. 
I giudizi emersi in merito ad Arte Fiera 2024 sono stati generalmente positivi e concordi nell’evidenziare come questa manifestazione continui a costituire il centro di scambi vivaci e collaborazioni che si sono create nel tempo tra i protagonisti del settore – artisti, curatori, galleristi e collezionisti – rendendo possibile la realizzazione dell’evento.
Il legame con la città è reso evidente e tangibile dall’estensione dell’evento, nella forma di ArtCity, che oltre la zona fiera ha incluso vari spazi dislocati nella città e in tutta l’area metropolitana di Bologna; il programma, articolato in oltre 200 eventi e curato da Lorenzo Balbi, direttore del MAMbo, è guidato dalla volontà di rendere fruibile al pubblico numerose esposizioni di taglio differente, coinvolgendo realtà pubbliche e private e offrendo anche la possibilità di visitare sedi solitamente non aperte al pubblico.
Tra i numerosi eventi, spiccano cinque special project incentrati sulla celebrazione e reinterpretazione del lavoro di Giorgio Morandi, in occasione del sessantesimo anniversario della morte del pittore bolognese; attraverso media e linguaggi differenti, che spaziano dalla fotografia alla video arte fino al suono, Virgilio Sieni, Joel Meyerowitz, Mary Ellen Bartley, Tacita Dean e Mark Vernon hanno omaggiato la rilevanza che Morandi ha acquisito tanto nella città quanto nel contesto italiano e internazionale.
A fronte dell’evidente difficoltà di sintetizzare questi quattro giorni concentrati di mostre ed eventi, abbiamo deciso di segnalarne tre, il primo esposto nella sede di un’Associazione culturale indipendente; il secondo promosso da MAMbo, definibile l’istituzione madrina di ArtCity; il terzo reso possibile grazie alla collaborazione di Galleria Lia Rumma. La volontà è dunque quella di fornire una selezione sì ridotta, ma che funga da cartina tornasole dell’edizione appena conclusa di ArtCity, in cui i temi sociali e politici (con attenzione particolare a questioni di genere e ambientali) permangono nella loro rilevanza e in cui continua a essere fertile la collaborazione tra pubblico e privato.


Il primo di questi è ICONOPLAST II con sede ad Adiacenze, uno spazio espositivo che si occupa di promuovere artisti emergenti contemporanei attivi nel proporre e immaginare scenari alternativi alle problematiche presenti. Questa mostra, a cura di Amerigo Mariotti e Giorgia Tronconi, riunisce le opere di Elisa Muliere, Sara Bonaventura e Gabriele Longega che dislocate su due piani trasformano lo spazio espositivo in una sorta di Athanor, un forno alchemico produttore e trasformatore di materiali e di residui, che rimessi poi in circolo svelano quali contraddizioni si nascondano e ne creano di nuove. Nel primo ambiente gli artisti propongono alcune tracce, una sorta di suggerimento e indizio per il visitatore, su quali sono le loro intuizioni sulle problematiche di oggi. Spunti che nell’ambiente sottostante si fanno più chiari, rivelando il nucleo che alimenta la trasformazione del Capitalocene in compost. Questo secondo spazio è come una sorta di sottosopra, un mondo e una dimensione viscerale che avvicina in maniera più intima e cruda all’opera degli artisti.

Sara Bonaventura, Gabriele Longega, Elisa Muliere, Iconoplast II, Adiacenze, Bologna (BO), 2 febbraio 2024-16 marzo, locandina mostra di Adiacenze

Il secondo progetto, Bloodline Shrine di Meredith Monk e a cura di Caterina Molteni, lavora tanto sulla dimensione visiva quanto, e soprattutto, sul senso dell’udito, dal momento che la volontà dell’artista è stata quella di rivalutare la voce in qualità di strumento espressivo, indagata in particolare nelle sue componenti più materiche: l’artista ha infatti affermato che “in un’unica voce c’è l’uomo e la donna, tutte le età, le sfumature di un sentire di cui non riusciamo a trovare le parole”. All’interno di uno spazio espositivo alquanto suggestivo, e a tratti spettrale, il Pio Istituto delle Sordomute Povere, fondato a metà del diciannovesimo secolo per offrire assistenza a bambine e giovani ragazze provenienti da situazioni disagiate e affette da sordità. La voce funge così da “sepolcro” e canale espressivo che ricollega ogni persona a una genealogia personale e a un mondo ancestrale senza tempo e fa sì che i riverberi di quest’opera, dunque, non siano unicamente sonori, ma anche cronologici.

Meredith Monk, ACB 2024 | Bloodline Shrine, 2018, installazione video 5 canali (colore, sonoro), Design dell’installazione di Meredith Monk, Yoshio Yabara, Fotografia Ben Stechschulte, Video editing di Katherine Freer, Courtesy l’artista

In conclusione, segnaliamo la mostra di Luca Monterastrelli, Storia di un onest’uomo, allestita presso l’Oratorio San Filippo Neri di Bologna e promossa da Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e Galleria Lia Rumma; quest’ultima da menzionare anche per l’assegnazione del premio alla carriera assegnato da ANGAMC ━ Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea. L’artista, la cui esposizione è stata curata da Alessandro Rabottini, ha lavorato a partire dagli oggetti dell’Oratorio, tra cui le sedute, per dare forma a un rifugio, un riparo atto a proteggere da un mondo che si disgrega sempre più. L’artista, impegnato con i propri lavori a indagare il potere coercitivo della narrazione politica, ha portato avanti questo discorso nell’ultima esposizione, mettendo in scena la contraddizione tra il desiderio di un rassicurante rifugio e l’inevitabile confronto con il Reale.

Luca Monterastrelli, Storia di un onest’uomo, 2024, Oratorio San Filippo Neri, Bologna, exhibition view. Foto FDM/A.RUGGERI

Elena Barison e Costanza Mazzucchelli

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