Nebula. Perdere e ritrovare l’orientamento al Complesso dell’Ospedaletto di Venezia

Basir Mahmood, Brown Bodies in an Open Landscape are Often Migrating, 2024 in “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri

Scighera, caigo, fumera. Nel tempo, ogni dialetto italiano si è dotato di un termine per quello che è uno dei fenomeni meteorologici più suggestivi, la nebbia, connotata da plurimi significati metaforici e simbolici. Si è voluti tornare al latino Nebula, “nuvola o nebbia”, per il titolo della mostra che dal 17 aprile al 24 novembre 2024 (in occasione della 60. Biennale Arte) ha luogo presso il Complesso dell’Ospedaletto di Venezia. Le otto video installazioni site-specific, commissionate a dieci artisti internazionali, indagano da punti di vista differenti la duplice essenza del fenomeno della nebbia come condizione materiale e come condizione metaforica in cui la possibilità di orientarsi tramite la vista si riduce (tanto che in inglese moderno, “nebula” è il termine medico per descrivere la presenza sull’occhio di una patina che offusca la vista), rendendo necessario amplificare gli altri sensi per comprendere ciò che ci circonda e orientarci; il riferimento alla nebbia appare calzante per i tempi incerti che stiamo vivendo e risulta ancora più appropriato in una città come Venezia, dove la foschia è un silenzioso abitante alla cui presenza ci si è ormai assuefatti. 

Nebula, promossa, commissionata e prodotta da Fondazione In Between Art Film e curata da Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi, costituisce il secondo capitolo di una serie di mostre organizzate dalla Fondazione a Venezia atte a indagare lo stato delle immagini in movimento nell’arte e nella società contemporanee Se la mostra precedente, Penumbra (2022), guardava all’oscurità come soglia tra la luce e il buio, quella in corso si concentra su uno stato liminale che rende tutto disorientante, frammentato e indefinito. La scenografia concepita dallo studio 2050+ – passaggi rivestiti in metallo che riflettono il suono, ambienti dai materiali soffici e stanze insonorizzate – occupa gli spazi di transizione tra le opere, facendo dialogare queste ultime tra di loro e con la presenza dello spettatore.

Il percorso inizia nella Chiesa di Santa Maria dei Derelitti con Brown Bodies in an Open Landscape are Often Migrating (2024) di Basir Mahmood, che restituisce indirettamente le esperienze dei migranti diretti dall’Asia verso l’Europa; durante la visione si fa esperienza di una confusione e dissociazione tra ciò che si sente e ciò che si vede, ciò che è distante e ciò che è vicino. Dopo un corridoio ricoperto d’argento opaco che rispecchia in modo indefinito le figure dei visitatori, Marshall Allen, 99, Astronaut (2024) di Ari Benjamin Meyers presenta una storia musicale e visiva incentrata sul musicista di free jazz Marshall Allen: dalla nebbia si passa qui alle nebulose, che si confondono con richiami alla vita dell’artista, in uno slittamento tra dimensione terrena e soprannaturale.

Ari Benjamin Meyers, Marshall Allen, 99, Astronaut, 2024 in “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy dell’artista e Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri

In When Rain Clouds Gather (2024), Christian Nyampeta ritrae tre artisti che parlano di come trascorrere la serata mentre si susseguono senza sosta e senza alcun approfondimento notizie di guerre e violenza, scritte annebbiate che compaiono e scompaiono mentre si dà sfogo a una riflessione sull’impatto del lavoro culturale, da cui risultano solo risposte incomplete. Lasciata questa dimensione comunitaria, si giunge a Nebula (2024) di Giorgio Andreotta Calò, una meditazione sulla ricerca del senso e sul suo smarrimento, sulla realtà e l’immaginazione, sul rapporto tra salute, razionalità e malattia. Nel seguire il percorso di una pecora nelle stanze del Complesso che il visitatore stesso sta attraversando, in un continuo slittamento tra passato e presente, memoria e percezione, l’atmosfera onirica e sospesa dell’opera viene intensificata dal reiterato suono di un campanello. 

Al primo piano, l’attualità irrompe in Until we became fire and fire us (2023-in corso) di Basel Abbas e Ruanne Abou-Rahme, dove a suoni e luci si sommano parole e disegni, che insieme restituiscono una riflessione sulle forme passate e presenti di colonizzazione e cancellazione in Palestina. Mentre gli ambienti diventano progressivamente più bui e baluginano stimoli visivi, il visitatore è invitato a trovare un senso attraverso un’esperienza sensoriale giocata sul negativo delle immagini.

Basel Abbas e Ruanne Abou-Rahme, Until we became fire and fire us, 2023–in corso in “Nebula”, Fondazione In Between Art Film presso Complesso dell’Ospedaletto, Venezia, 2024. Courtesy degli artisti e Fondazione In Between Art Film. Foto: Lorenzo Palmieri

Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado, con Acumulação Primitiva (2024), riflettono sul reciproco alimentarsi di un estrattivismo predatorio, della mercificazione della forza lavoro e della struttura di classe razzializzata, forme di riproduzione del capitalismo come propaggine del colonialismo. Lo spasmodico desiderio di accumulazione, reso dal rumore costante dei treni merci, intacca allo stesso modo le persone e l’ambiente.

Dal “realismo capitalista” del video precedente si passa al poetico viaggio che è Melted into the Sun (2024) di Saodat Ismailova, incentrato sulla figura di Al-Muqannaʿ (“Il Velato”), un enigmatico profeta vissuto nell’Asia centro-meridionale dell’VIII secolo che, a partire da Zoroastrismo, Mazdakismo e Buddhismo, si è schierato contro le pratiche autoritarie e di sfruttamento dei terreni, con posizioni attuali e suscettibili di continua riflessione.   

Nella barocca sala della musica, ci scontriamo con Fritz (2024) di Diego Marcon, un ragazzino che intona uno jodel (canto senza testo, con soli vocalizzi e suoni gutturali, tipico dei montanari) accompagnato da altre voci senza corpo. Le nitide immagini caratteristiche di Marcon appaiono inquietanti e, paradossalmente, poco autentiche e ingenerano nello spettatore tanto compassione quanto distacco, una partecipazione superficiale al requiem di e per Fritz.

In una visita in cui si mescolano i suoni, le percezioni, le sensazioni, opere e allestimento intensificano l’esperienza corporea e sensoriale e visualizzano magistralmente le diverse condizioni ottiche, acustiche, tattili e mentali della nebbia, qui presente nella forma di paesaggio in cui è possibile smarrirsi o ritrovarsi, di movimento di allontanamento dalla realtà, come stato (talvolta alterato) di coscienza. Dopo la straniante esperienza di sentire ciò che non si vede e non sentire ciò che si vede discendente dallo stratificarsi di stimoli, la temporanea perdita dell’orientamento stimola così ad amplificare i nostri sensi e le nostre domande sul mondo di oggi. 

Costanza Mazzucchelli

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