Re-Stor(y)ing Oceania

I popoli del Pacifico approdano a Ocean Space (e non lo fanno a mani vuote)

Voler esistere, dove già si esiste

Lo scorso 23 marzo Ocean Space ha inaugurato a Venezia la nuova mostra commissionata da TBA21-Academy e Artspace (Sydney), in collaborazione con le OGR di Torino, Re-Stor(y)ing Oceania, presentando al pubblico due installazioni site-specific di artiste indigene della regione del Pacifico.

Curata da Taloi Havini, artista originaria della Regione Autonoma di Bougainville in Papua Nuova Guinea, l’esposizione presenta i lavori dell’artista tongana Latai Taumoepeau e di Elisapeta Hinemoa Heta, dalla Nuova Zelanda, rispettivamente nell’ala est e ovest dell’ex Chiesa di San Lorenzo.

Le due monumentali commissioni intendono sottolineare l’urgenza della questione ecologica e dell’impatto ambientale su queste terre, invitando il pubblico a connettersi con le voci delle comunità locali che abitano la vasta regione delle isole e degli atolli dell’emisfero australe.Questi luoghi, e più in generale la diversificata regione del Pacifico – i cui popoli occupano oltre un quarto del pianeta – sono una delle zone dove gli effetti drammatici del cambiamento climatico hanno maggiore impatto: territori spazzati via o sommersi dall’acqua, comunità sparse tra le isole divenute ormai irraggiungibili, biodiversità marine a rischio.

Nonostante l’indipendenza di molti stati insulari dell’Oceano Pacifico a partire dal 1962, le conseguenze della colonizzazione continuano a produrre i loro effetti sulla popolazione, attraverso il costante sfruttamento delle risorse naturali. I leader delle comunità indigene chiedono da anni alle popolazioni occidentali una maggior consapevolezza sugli effetti del cambiamento climatico, e di assumersi la responsabilità delle azioni che vengono commesse a danno di terre che, oggi come allora, non ci appartengono.

Lo scopo di questa mostra, che ben si allinea al programma culturale delle organizzazioni che l’hanno voluta, non si limita alla necessaria presa di posizione sulla questione climatica, con particolare riguardo alle regioni più colpite del pianeta – spesso le meno attenzionate, aggiungiamo noi – ma va ben oltre. Propone, a ben vedere, una riflessione sull’essere umano, sul suo approccio nei confronti dei suoi simili e delle terre che lo ospitano.

Queste opere ci lanciano un appello: non una richiesta di aiuto nella sua accezione più paternalistica, piuttosto un insegnamento: il dono della conoscenza di culture ancestrali, di terre millenarie ricolme di risorse – naturali e umane – non ci viene dato per esser preso con la forza e dimenticato. Le voci, reali, delle comunità che abitano quei luoghi, riecheggiano lungo le pareti della Chiesa di San Lorenzo a ricordarci che ogni volta che riceviamo qualcosa – sia anche solo l’ospitalità – dobbiamo, a quegli stessi luoghi, donare qualcosa indietro.

Elisapeta Hinemoa Heta, The Body of Wainuiātea, 2024. Performance cerimoniale parte della mostra Re-Stor(y)ing Oceania, Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Artspace, e prodotta in collaborazione con le OGR Torino. Foto: Nicolò Miana, courtesy of Ocean Space
Latai Taumoepeau, This is not a drill, 2024. ‘Durational performance’ parte della mostra Re-Stor(y)ing Oceania, Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Artspace, e prodotta in collaborazione con le OGR Torino. Foto: Nicolò Miana, courtesy of Ocean Space

Latai Taumoepeau: Deep Communion sung in minor (ArchipelaGO, THIS IS NOT A DRILL)

Entrando nella Chiesa di San Lorenzo, nell’ala est, ci troviamo di fronte a un’opera che potrebbe facilmente risultare fuori posto nella sua apparente asetticità, rispetto all’imponenza dell’altare alle sue spalle: una grande piattaforma nera, riflettente, che immediatamente ricorda minerali metallici, facendoci affiorare alla mente l’immagine di un fondale marino. Su di essa, una serie di elaborati macchinari si posizionano come elementi sinistri, artificiali, parte imbarcazioni, parte strumenti per l’estrazione mineraria.

Deep Communion sung in minor (ArchipelaGO, THIS IS NOT A DRILL) dell’artista tongana Latai Taumoepeau – danzatrice, performer e attivista per l’ambiente – è un’installazione sonora immersiva a 16 canali che invita il pubblico a partecipare a una “durational performance’’: artista e spettatore intraprendono insieme un viaggio nella cultura della popolazione oceanica, in silenzioso rispetto, interrotto esclusivamente dalle voci delle comunità locali che fuoriescono da alcune piccole casse. Quelle voci – canti, preghiere, danze, conversazioni quotidiane, suoni naturali provenienti dai luoghi del Pacifico – vengono attivate dal pubblico, che vi partecipa a gruppi, alimentando le macchine per pagaiare.

Latai Taumoepeau, This is not a drill, 2024. ‘Durational performance’ parte della mostra Re-Stor(y)ing Oceania, Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Artspace, e prodotta in collaborazione con le OGR Torino. Foto: Nicolò Miana, courtesy of Ocean Space
Latai Taumoepeau, Deep Communion sung in minor (ArchipelaGO, THIS IS NOT A DRILL), 2024. Veduta della mostra Re-Stor(y)ing Oceania, Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Artspace, e prodotta in collaborazione con le OGR Torino. Foto: Giacomo Cosua, courtesy of Ocean Space

Con questa performance Taumoepeau onora l’antica pratica cerimoniale del Me’ etu’ upaki (letteralmente danza, in piedi, con le pagaie), mettendo in scena «le complessità culturali che circondano le credenze spirituali e le pratiche culturali» del suo popolo, incentrate sul corpo (faiva), evocando «il culto congregazionale di massa» (Ocean Space | Latai Taumoepeau, Elisapeta Hinemoa Heta — Re-Stor(y)ing Oceania (ocean-space.org)) inserendo così – spettatori e colpevoli – gli attori geopolitici all’interno di un’arena che pone l’attenzione sui rischi legati all’estrazione mineraria nelle acque profonde del Pacifico.

In ultima analisi, queste voci, assieme all’azione collettiva messa in atto per attivarle, invocano la richiesta di assistenza e cura di Moana (Oceania), in cui la responsabilità ecologica e l’obbligo di mantenere in vita liturgie ancestrali delle comunità tongane si fondono in una miscela che sa di antica spiritualità, e di impellente urgenza.

Latai Taumoepeau, Deep Communion sung in minor (ArchipelaGO, THIS IS NOT A DRILL), 2024. Veduta della mostra Re-Stor(y)ing Oceania, Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Artspace, e prodotta in collaborazione con le OGR Torino. Foto: Giacomo Cosua, courtesy of Ocean Space

Elisapeta Hinemoa Heta: The Body of Wainuiātea

All’altro capo dell’altare, centro simbolico dell’esposizione, si trova la seconda installazione site-specific di questa mostra: The Body of Wainuiātea dell’artista, designer e architetta Māori Elisapeta Hinemoa Heta, che lavora in Nuova Zelanda spaziando dalla ricerca all’insegnamento, dall’arte al cinema, attraverso una pratica multidisciplinare ricca di progetti collaborativi incentrati su costumi e cerimonie indigeni.

L’opera portata dall’artista a Ocean Space incarna uno dei rituali Māori imperniati sui concetti di kawa e tikanga – protocolli cerimoniali di pratiche comuni – radicati nelle terre di Aotearoa Nuova Zelanda.

Elisapeta Hinemoa Heta, The Body of Wainuiātea, 2024. Veduta della mostra Re-Stor(y)ing Oceania, Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Artspace, e prodotta in collaborazione con le OGR Torino. Foto: Giacomo Cosua, courtesy of Ocean Space

L’installazione è composta da più elementi, tutti necessari al corretto funzionamento del rito: la pavimentazione in mattoni, il soffitto composto da dodici pieghe graduali di tessuto – a onorare i dodici sacri livelli del cielo – l’acciaio, il legno, e ancora vasi di zucca intagliata e olio di cocco profumato come offerte votive, poste sul grande altare. Sedici sedute, dall’imponente presenza, posizionate in corrispondenza dei punti cardinali, creano un cerchio in questa seconda – differente – arena, che evoca antichi siti cerimoniali. Per tre volte nell’arco della giornata, un appello spirituale delle donne Māori (karanga) intonato da Rhonda Tibble – consigliera eletta nel nuovo distretto Māori di Gisborne – risuona per onorare, anche qui, Moana.

Elisapeta Hinemoa Heta, The Body of Wainuiātea, 2024. Veduta della mostra Re-Stor(y)ing Oceania, Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Artspace, e prodotta in collaborazione con le OGR Torino. Foto: Giacomo Cosua, courtesy of Ocean Space

Il pubblico, chiamato a entrare nel sito per apprendere questo antico rituale, si trova immerso in uno spazio aulico. Spazio religioso che, al contrario delle nostre abitudini occidentali, in cui di fronte alla percezione del divino tendiamo a sentirci piccoli e in formale sudditanza, qui ci accoglie, dolcemente, invitandoci alla condivisione. Entrare nell’opera implica «decidere consapevolmente di superare il divario tra l’individuale e il collettivo, tra il privato e il pubblico, per sperimentare la relazionalità con il prossimo» (Ocean Space | Latai Taumoepeau, Elisapeta Hinemoa Heta — Re-Stor(y)ing Oceania (ocean-space.org)), mantenendo in equilibrio il rapporto con il mondo umano e con l’ambiente.

Elisapeta Hinemoa Heta, The Body of Wainuiātea, 2024. Performance cerimoniale parte della mostra Re-Stor(y)ing Oceania, Ocean Space, Venezia. Co-commissionata da TBA21–Academy e Artspace, e prodotta in collaborazione con le OGR Torino. Foto: Nicolò Miana, courtesy of Ocean Space

Tikanga, ovvero ciò che è corretto, è il filo rosso che connette le due opere al programma pubblico di TBA21-Academy a Ocean Space e di tutti gli attori e attrici coinvolti in questo ambizioso progetto. Ciò che è corretto, nei confronti dell’uomo e delle terre che abita, non è negoziabile.

Re-Stor(y)ing Oceania, con le talentuose Taloi Havini, Latai Taumoepeau e Elisapeta Hinemoa Heta, non ha solo portato la cultura indigena del Pacifico nella città lagunare per allietare menti curiose. Ha, al contrario, voluto smuovere quelle menti, per ricordare loro che ogni interscambio, ogni relazione, ogni nuova scoperta, porta con sé rispetto e gratitudine. Che l’ospitalità non si pretende, ma si condivide. Che la lotta alla continua devastazione delle loro terre deve essere affrontata come un problema comune.

Suoni di rituali, canti e danze, imbarcazioni che ricordano sinistramente macchine per l’estrazione mineraria, voci ancestrali e voci che appartengono alla quotidianità del popolo oceanico. Tramite queste storie, le artiste ci ricordano la necessità di rispettare e salvaguardare un luogo: per noi curioso, lontano, ‘’esotico’’. Per loro, casa

Eva Chemello

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