Studiosa anticonformista e dai numerosi meriti, primo fra tutti aver contribuito ad ampliare la visione artistica nazionale non solo sul contemporaneo, ma anche verso l’arte internazionale, senza trascurare gli studi delle realtà artistiche locali.
Anna Maria Brizio, nata a Sale d’Alessandria il 29 settembre 1902 e morta a Rapallo il 1° agosto 1982, fu una studiosa dagli ampi orizzonti didattici e di studio, la cui scomparsa – secondo Giulio Carlo Argan, Enrico Castelnuovo e Andreina Griseri – portò all’assenza di un punto di riferimento nella dialettica scientifica.
Nella formazione della giovane gli studi storico artistici iniziarono nel 1924, quando le lezioni di Storia dell’arte di Lionello Venturi presso l’Alma Universitas Taurinensis la indussero a «seguire drittamente questa via» (R. Rivabella, A. M. Bisio (a cura di), Caro e Venerato Maestro. Lettere di Anna Maria Brizio ad Adolfo Venturi (1924-1940), 2006). La Brizio, parallelamente a un primo incarico come docente di Storia dell’arte presso il Liceo classico di Cuneo, iniziò a frequentare i corsi della Scuola di Perfezionamento in Storia dell’arte Medievale e Moderna presso l’Università, “La Sapienza”, di Roma, dove fu allieva di Adolfo Venturi.

Gli studi iniziali della Brizio sulla pittura piemontese, su Defendente e Gaudenzio Ferrari costituirono l’iniziale corpus del testo, dato alle stampe nel 1942, La pittura in Piemonte dall’età romanica al Cinquecento. Invece, negli anni del perfezionamento romano, si interessò all’arte di Paolo Veronese, scrivendo come tesi finale Note per una dissertazione critica dello stile di Paolo Veronese (1927).
Fu dalla fine degli anni Venti che la studiosa iniziò a interessarsi all’arte contemporanea, quando, insieme a Lionello Venturi, si occupò dell’allestimento della collezione Gualino presso la Regia Pinacoteca di Torino, e, con la mansione di redattrice de «L’Arte» ebbe modo di manifestare sulle pagine della rivista il suo apprezzamento per i Macchiaioli e gli Impressionisti, da lei ritenuti come una «declinazione moderna del primitivismo artistico». Questi primi contributi, insieme alle 135 voci che scrisse per il Grande Dizionario Enciclopedico della casa editrice U.T.E.T, furono i primi esiti di quelle ricerche sull’arte contemporanea che, nel 1938, sarebbero confluite in Ottocento Novecento, una pubblicazione decisiva nell’ambito italiano degli studi storico artistici. La redazione di quelle voci enciclopediche permise la creazione e la dotazione di aggiornati strumenti didattici nelle scuole, per questo Anna Maria Brizio fu tra i protagonisti che rifondarono la disciplina della storia dell’arte, a fianco di Lorenzo Rovere e di Vittorio Viale.
Nel 1930, la studiosa fu una tra le prime donne in Italia – dopo Mary Pittaluga (nel 1927) ed Eva Tea (nel 1928) – a ottenere l’abilitazione all’insegnamento universitario in Storia dell’arte medievale e moderna. La Brizio insegnò dal 1932 al 1956 presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, dove, all’unanimità dei votanti, venne nominata direttrice dell’Istituto di Storia dell’arte e ottenne la cattedra alla facoltà di Magistero dell’Università torinese. Dal 1936, parallelamente all’insegnamento, diresse la Galleria Sabauda occupandosi dell’organizzazione di una serie di mostre rilevanti, come la Mostra della scultura pisana (1946) e quella nel 1957 su Gaudenzio Ferrari presso il Museo Borgogna di Vercelli. In seguito, le altre mostre di cui si occupò furono realizzate, dal 1966 al 1975, in collaborazione con la Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano.

Corrente (22 febbraio 1978), Milano, Fondazione Corrente, Archivio Iniziative,
photo credit Toni Nicolini
Durante il periodo della Seconda guerra mondiale, la Brizio, a causa della sua compromessa condotta politica per l’aderenza a gruppi intellettuali antifascisti e per i rapporti che mantenne con l’esule Lionello Venturi, fu sollevata dalla docenza universitaria. In questo periodo critico, si occupò della protezione del patrimonio artistico piemontese, lavorando presso la Soprintendenza di Torino con l’incarico d’ispezionare le opere d’arte custodite al Castello di Guiglia. La cura con cui la Brizio portò a termine il compito indusse Carlo Aru, al tempo Soprintendente all’Arte medievale e moderna del Piemonte e della Liguria, a richiedere l’assegnazione per la studiosa di un diploma di benemerenza nelle Arti, un riconoscimento che, ancora una volta, non le fu concesso per via della sua condotta politica.
In questo «teatro di un antifascismo in stato d’assedio» (M. G. Leonardi, “Ottocento Novecento” studi sull’arte contemporanea di Anna Maria Brizio, 2009-2010) prese vita Ottocento Novecento, un documento diretto di un periodo storico complesso, durante il quale la studiosa attuò coraggiosamente una resistenza culturale. Lo scritto, stampato il 24 dicembre 1938, fu l’esito di una «lunga vicenda di conquista di libertà espressiva» (A. M. Brizio, Ottocento Novecento, 1939) da parte dell’autrice, in quanto questo costituì il primo studio in Italia a essere stato condotto attraverso un approccio globale, aperto nei confronti dell’arte europea e per questo innovativo rispetto agli scritti pubblicati fino a quel momento che assumevano come punto di vista privilegiato il “Novecento italiano”. In Ottocento Novecento la presa di posizione a favore dell’arte italiana, veicolata dalla soffocante autarchia fascista, fu soppiantata a favore dell’arte francese, alla quale la Brizio si interessò grazie alle lezioni e agli scritti del maestro Lionello Venturi. Per questa rilettura della storia dell’arte in senso europeo e contro la retorica del regime, anche l’arte moderna italiana si comprese sotto una nuova luce e per questo la studiosa fu accusata di disfattismo antinazionale da storici dell’arte come Ugo Ojetti.
Nel testo, la Brizio cercò di approfondire lo studio delle linee e dei colori, con la volontà di cogliere la poesia espressa dalle forme e contemplarne gli aspetti intrinseci. Per lei la creazione artistica costituiva una libera attività dello spirito umano, indipendente da ogni ingerenza di ordine intellettuale, pratico o etico.
Lo studio del contemporaneo non allontanò la Brizio dal moderno, rimanendo per questa un continuo campo di ricerca, in particolare per Leonardo da Vinci, il quale fu protagonista di alcuni suoi studi avviati nel 1948, proseguiti dal 1957 al 1977, durante gli anni d’insegnamento all’Università di Milano, e conclusi con, l’ultimo scritto della sua vita, il Codice Trivulziano (1980). In seguito, l’apertura sugli studi vinciani, raggiunta grazie a questi contributi della Brizio, si sarebbe proseguita con gli scritti di Carlo Pedretti e Pietro Marani.
Elena Barison