Ma chi ci va in pensione? Quei bravi ragazzi di GILBERT & GEORGE non hanno ancora finito

La coppia che non scoppia

Duo dall’intramontabile successo, Gilbert Prousch e George Passmore sono due impeccabili britannici fuori dal tempo che a partire dagli anni ‘70 portano il loro corpo, la loro stessa vita – rigorosamente in e di coppia – sul palcoscenico dell’arte contemporanea.
Rinunciando ai loro cognomi, in arte vengono subito riconosciuti come Gilbert & George, con quella “&” commerciale che quasi li trasforma in una società. Mettono in scena fin dal principio una «forma di eterno e paradossale presente» (Giorgina Bertolino, Gilbert & George. The Singing Sculpture 1971-1991, in “CONTEMPORANEA. Arte dal 1950 ad oggi”, Mondadori Electa, 2012) che fonde arte e vita in una colta e arguta parodia.

Gilbert & George in una (non loro) cucina, 2021, courtesy of SHIRN MAG, photo credit: Christian Sinibaldi

Iconici, dissacranti, lontani dal politicamente corretto e amanti della beffa – allo stesso tempo perfettamente inquadrati in uno scenario alla Downton Abbey – a guardarli ci si chiede se non siano usciti da un fumetto, due attempati rivoluzionari vagabondi nella Londra dei borghesi.
L’estremismo di Gilbert & George risiede in loro stessi, nell’essere uno e due contemporaneamente: un contrasto, un paradosso, un capovolgimento. Ciò si riflette in qualsiasi loro azione: i loro abiti e le loro cravatte ad esempio – quasi un marchio di riconoscimento – diventano delle bombe ad orologeria pronte ad esplodere sul ben educato conservatorismo, creando un paradosso perfettamente bilanciato tra apparenza e realtà. Ed è così che le opere di Gilbert & George coincidono con Gilbert & George stessi: metà uomini comuni e metà poeti, vivono e raccontano i mille volti del mondo moderno.

Essere sculture viventi: una carriera scandalosa

L’intesa, che scattò dal primo incontro alla Saint Martin School of Art di Londra nel 1967, dura ancora oggi dopo più di 50 anni di condivisione, a formare un percorso eccentrico, irriverente, ma perfetto e coerente nella sua indomita eleganza.

Gilbert & George, The Singing Sculpture, particolare, 1991, Sonnabend Gallery, New York, courtesy of Gilbert & George (2017)
Gilbert & George, Eight shits, dalla serie The Naked shit picture, 1994, 253 x 355 cm, courtesy of The Gilbert & George Centre (2023)

Dalla prima celebre performance The Singing Sculpture in cui, travestiti da sculture viventi, cantavano e danzavano all’unisono – due persone, un unico artista – realizzando a pieno la fusione tra arte e vita; alla sconvolgente e provocatoria serie The Naked Shit Pictures, tacciata di blasfemia, in cui viene affrontata, tra le altre cose, la paura dell’AIDS – soprattutto quella feroce dell’opinione pubblica nei confronti degli omosessuali – simboleggiata in immagini volutamente antiestetiche; per finire con la mostra The Paradisical Pictures, dal sapore psichedelico e visionario, costellata di paesaggi fantastici e rimandi ad una sorta di giardino delle delizie dell’aldilà, inaugurata al nuovissimo Gilbert & George Centre, a conclusione (ma quale conclusione?) della «loro storia da piantagrane, attaccabrighe, scostumati figli del Regno» (Nicolas Ballario, Gilbert & George non smetteranno mai di provocare il sistema dell’arte, in “Rolling Stone Italia”, 2020).

Gilbert & George, Anthers, dalla serie The Paradisical Pictures, 2019, courtesy of Gilbert & George Centre (2023)

Un’arte per tutti al GILBERT & GEORGE CENTRE: “LOTS OF LOVE, always and All Ways. x Gilbert & George x”

Gilbert & George, ART FOR ALL, 18 febbraio 2023, poster, courtesy of The Gilbert & George Centre (2023)

Quando, per la prima volta, si diede la notizia che il nuovo centro d’arte promosso da Gilbert & George sarebbe stato inaugurato il 1° aprile 2023, si pensò subito fosse uno scherzo – un pesce d’aprile per l’appunto – l’ennesima provocazione della coppia più scorretta del mondo dell’arte. Ma pian piano iniziarono a trapelare fotografie che li ritraevano al lavoro, con tanto di elmetto da cantiere sulla bianca chioma, e ci si rese conto che il progetto stava davvero prendendo una piega concreta.

Lavori in corso al Gilbert & George Centre, Londra, 2023, courtesy of The Gilbert & George Centre (2023), photo credit: Tom Oldham

L’origine del Gilbert & George Centre ha in realtà radici nel passato: fu istituito nel 2009 dalla coppia come ente di beneficenza, con l’obiettivo di promuovere l’educazione del pubblico nelle arti e nel patrimonio culturale. L’ente aveva inoltre lo scopo di raccogliere e preservare l’eredità artistica del duo, le loro opere e collezioni, distribuite lungo le loro proprietà in Fournier Street (https://gilbertandgeorgecentre.org/about/about-the-gilbert-george-centre/). Nel 2015 il Consiglio d’Amministrazione – che gestisce l’ente per conto di Gilbert & George – decise di acquisire una proprietà al civico 5a di Heneage Street: un ex birrificio situato nel cuore di Brick Lane, a due passi dalla casa e dallo studio dei due artisti. La ragione? Creare una dimora permanente che ospitasse le loro opere e arricchisse ulteriormente l’offerta culturale della città di Londra. 
Il restauro dell’edificio e la progettazione degli spazi museali sono stati portati avanti dallo studio SIRS Architects in stretta collaborazione con Gilbert & George, per ospitare tre gallerie all’avanguardia, ciascuna diversa per atmosfera e dimensioni, che fossero espressione della visione artistica della coppia.

Gilbert & George davanti ai cancelli del Gilbert & George Centre, 2023, courtesy of The Gilbert & George Centre (2023), photo credit: Yu Yigang

L’East End – dove ha sede il Centro e dove la coppia vive dai tempi dell’Università – è un quartiere molto particolare di Londra: sono le strade di Jack lo Squartatore, quelle che hanno accolto immigrati a ondate per tutto il secolo scorso, trasformando la zona in una delle più accattivanti, multietniche e culturalmente attive della città. «Gilbert & George hanno sempre prosperato nel far sentire la loro voce e nel dare un’impronta distintiva all’ambiente che li circonda» – afferma Manuel Irsara, co-fondatore di SIRS Architects – «che ora abbiano creato uno spazio permanente dove esibire ai visitatori di tutto il mondo la loro impareggiabile eredità artistica è il compimento ultimo della loro visione, “arte per tutti“» (Harriet Lloyd-Smith, Gilbert & George on their new art centre in east London: “We all want to live forever, don’t we?”, in “Wallpaper*”, 2023).
In una recente intervista, Gilbert & George hanno affermato che la loro volontà è sempre stata quella di «creare un’arte che non eliminasse l’80% della popolazione mondiale» (Maryam Eisler, Gilbert & George on democratising art and King Charles III, intervista in “Country and Town House”, 2023) – cosa che molta arte spesso invece fa – per avvicinarsi agli spettatori indipendentemente dal loro background culturale, economico o dalla loro nazionalità. Il loro motto “Art For All” trova concreta applicazione anche nell’accesso totalmente gratuito agli spazi espositivi, in un luogo pubblico interamente autofinanziato. Nel loro celebre manifesto del 1970 la coppia dichiarò infatti di voler produrre un’arte che non fosse fruibile solo all’élite borghese e altolocata: così le loro opere vanno da quelle battute da Christie’s per 2,4 milioni di euro (Drinking Sculptures, 2008) alle stampe e multipli – tipiche della loro più recente produzione – in vendita per poche centinaia di sterline (Teresa Macrì, Gilbert & George, un’arte per tutti dal gusto psichedelico, in “il manifesto”, 2023).

GOD SAVE GILBERT & GEORGE

Gilbert & George di fronte all’opera On the bench (2019), The Paradisical Pictures, exhibition view, 2023, courtesy of Maja Smiejkowska/Reuters

È infine con questa ultima esposizione, la già citata The Paradisical Pictures – che ha dato il via all’apertura del Centro – che Gilbert & George affrontano l’ennesimo tabù, forse il più antico di tutti: la vita dopo la morte. In queste 35 opere il paradiso è terreno, è una giungla, una visione magica e grottesca, fantastica e psichedelica, drammatica e comica allo stesso tempo. Loro sono sempre lì, i visi stravolti da colori quasi fluorescenti e atmosfere surreali (un po’ Alfred Hitchcock e un po’ Walt Disney), due sculture viventi partecipi e testimoni del mondo che li circonda.
E alla fine, alla domanda a cui nessuno sa dare una risposta, se esista o meno il paradiso, Gilbert risponde: «Sì. Penso che l’abbiamo trovato proprio qui, non credi George?» (Maryam Eisler, Gilbert & George on democratising art and King Charles III, intervista in “Country and Town House”, 2023).

Che fortuna.

Eva Chemello

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