Transcendence a Venezia è un elogio alla vita. Intervista all’artista Wallace Chan

Fino al 30 settembre 2024 le porte della cappella della Chiesa di Santa Maria della Pietà a Venezia rimarranno aperte come invito allo spettatore ad inoltrarsi in uno spazio sacro: il curioso mondo di Wallace Chan.

L’artista cinese torna in laguna dopo le mostre Titans (2021) e Totem (2022), entrambe presso il Fondaco Marcello, con una nuova personale: Transcendence. La trilogia curata da James Putnam, di cui quest’ultima esposizione chiude l’immaginario cerchio, non racconta solo la pratica artistica di Chan, ma il suo approccio nei confronti delle cose della vita, letteralmente «dal macro al micro».

Si potrebbero usare fin troppi aggettivi per descrivere Wallace Chan: alchimista, scienziato, chimico, gioielliere, filosofo, monaco, inventore. Lo chiameremo semplicemente artista, ricordando quante sfaccettature il termine contiene in sé.

Transcendence sviluppa e dà degna conclusione al ciclo iniziato con Titans, dall’esplorazione del rapporto tra spazio, tempo e materia, all’interpretazione che di questi abbiamo come esseri umani. Tramite il peculiare – e pressoché unico nel panorama attuale – uso del titanio come materiale privilegiato per le sue creazioni, a Venezia l’artista ha dato forma allo spettro degli stati emotivi: la sofferenza e il dolore si fanno materia attraverso il titanio, così complesso ed eterno, che a sua volta appare malleabile (finanche vulnerabile) nei grandi volti scolpiti che silenziosamente urlano, per abbandonarsi in un successivo stato di ritrovata pace, e amore.

Nella piccola cappella veneziana, Wallace Chan ci mostra la delicatezza e la complessità della vita umana, in un percorso meditativo che ci accompagna passo dopo passo.

Fino a quando? Fino a trascendere.

Wallace Chan, courtesy of CASADOROFUNGHER Comunicazione, photo credit Massimo Pintore

EVA CHEMELLO – Vorrei iniziare chiedendole di parlarci di lei e del suo percorso creativo. La sua pratica artistica è altamente multidisciplinare, con opere che spaziano dalla gioielleria, alla scultura e all’installazione.

Come ha iniziato? Cosa lo ha portato ad intraprendere questo incredibile viaggio?

WALLACE CHAN: Ho iniziato come apprendista nel 1973, all’età di 16 anni, come incisore di pietre preziose. Non avevo alcuna formazione scolastica, ma fin da piccolo ho provato un forte interesse per una moltitudine di cose, tra le più diverse, influenzando così lo sviluppo di una pratica multidisciplinare.

Proprio a causa della mancanza di un’educazione sia scolastica che professionale da giovane ho avuto una sorta di crisi identitaria. Non ho frequentato nessuna scuola d’arte, né avuto mentori a cui fare riferimento ma, nonostante ciò, ho sempre avuto molta sete di conoscenza, come oggi. Da ragazzo, in Cina, mi fermavo davanti alle vetrine delle librerie e osservavo le persone all’interno: volevo essere come loro.

Purtroppo, ero povero e avevo scarsa autostima, per cui frequentavo solo librerie di seconda mano e non potevo permettermi di comprare nulla. Spesso i titolari mi chiedevano di uscire perché non facevo acquisti, così mi spostavo da una libreria all’altra. Quel periodo mi ha fatto comprendere quanto è importante la continua ricerca della conoscenza, rimanendo curiosi ovunque e comunque.

La curiosità è la forza vitale del mio lavoro, mi motiva a cercare ed esplorare costantemente. Credo che, alla fine della giornata, sia semplicemente il cuore che mi chiama. 

EC – Prima di addentrarci nella mostra veneziana, Transcendence, mi piacerebbe farle alcune domande sulle sue creazioni, partendo dalla gioielleria: sono pezzi mozzafiato, tecnicamente perfetti, che rendono il suo repertorio davvero unico nel panorama artistico contemporaneo. Personalmente, la prima volta che li ho visti, li ho subito assimilati a delle piccolissime sculture provenienti da mondi magici, in parte antichi e in parte futuri. Considera la gioielleria e la scultura come parti di uno stesso insieme, cioè dell’espressione artistica?

Molti lo descrivono come un moderno alchimista. È d’accordo? La filosofia e, in questo caso, l’esoterismo, fanno in qualche modo parte di questo grande quadro?

WC: Per me esiste una fortissima connessione tra gioielleria e scultura. Sono in costante movimento tra questi due mondi, e parlare di scultura e gioielli rappresenta in qualche modo una transizione dal macro al micro. C’è un detto cinese che risuona in me: «Tutto, piccolo o grande, è infinito». Che stia lavorando su sculture in larga scala o su intricati dettagli di gioielli, il mio obiettivo rimane sempre quello di catturare un senso di ‘’infinito’’.

Tutte le mie creazioni riflettono un amore profondo; per la vita e per l’universo. Se fossi un alchimista, al posto di trasformare i materiali in oro, mi piacerebbe trasformare tutto ciò che tocco in amore.

Wallace Chan, Stilled life, 2012, giada imperiale, giada lavanda, rubino, diamante, zaffiro, tsavorite, 18k oro bianco e titanio, courtesy of Wallace Chan

EC – Parlando invece della scultura, quando ha deciso di intraprendere questa strada? Le forme antropomorfe e i grandi volti – in cui genere maschile e femminile si confondono –sembrano emergere da un mondo a noi sconosciuto, profondamente spirituale. Da dove nascono?

In un certo senso mi riportano alla mente certe immagini di Alberto Giacometti, per la capacità di rendere queste figure disturbanti e equilibrate allo stesso tempo. Cosa ne pensa? 

WC: Ma è davvero un nuovo percorso? Forse è solo crescita: la mia, personale, assieme a quella dei materiali. È semplicemente parte del processo naturale della vita.

Le figure e i volti delle mie sculture abbracciano un viaggio che parte dal conflitto per giungere alla tranquillità, riflettendo stati emotivi più profondi. Per esempio, in Transcendence I, ciò che può apparire come dolore o paura in realtà rappresenta un momento epifanico, la trasformazione della sofferenza in illuminazione. Similmente, Transcendence IV, che raffigura un tulipano, ha un significato personale. Il fiore simboleggia la vita, la rinascita e l’amore, e si intreccia ad una mia esperienza risalente al 1985, quando importai un tulipano dai Paesi Bassi. Nonostante gli sforzi per conservarlo al meglio, il tulipano alla fine appassì. I petali della scultura sembrano ballare e tremare contemporaneamente, riflettendo così la lotta per preservare la vita stessa. I volti presenti sullo stelo rappresentano le emozioni che ho provato in quel periodo.

Ho ammirato il lavoro di Giacometti per moltissimo tempo. Tutti noi poggiamo sulle spalle dei giganti, e lui è sicuramente tra i grandi che hanno ispirato la mia crescita artistica.

Wallace Chan, Transcendence IV, titanio, 2023, Transcendence, Chiesa di Santa Maria della Pietà, Venezia, 2024, courtesy of CASADOROFUNGHER Comunicazione
Wallace Chan, Transcendence IV, dettaglio, titanio, 2023, Transcendence, Chiesa di Santa Maria della Pietà, Venezia, 2024, courtesy of CASADOROFUNGHER Comunicazione

EC – La scelta di utilizzare il titanio è un unicum nella scena attuale, specialmente se si tratta di sculture di grandi dimensioni come le sue. Cosa l’ha portata a scegliere proprio il titanio? Le va di spiegarci come funziona la lavorazione di questo metallo?

Infine, qualora esista, qual è la relazione tra l’uso del titanio e ciò che intende comunicare con i suoi lavori?

WC: La forza e la biocompatibilità del titanio mi hanno sempre affascinato. Ho percepito il suo potenziale per le mie creazioni nonostante fosse una sfida, come l’elevato punto di fusione e la rigidità. Difatti, il titanio non viene comunemente usato nel mondo dell’arte, proprio per la complessità e la difficoltà. È un materiale resistente – e testardo – che deve essere compreso prima di poter essere domato. Per me, però, fu una scelta del tutto naturale, perché do valore al creare pezzi che siano duraturi. Considero il titanio come il materiale più vicino all’eternità. Durante il processo creativo non seguo regole precise: che stia battendo o incidendo il titanio per un gioiello o per una grande scultura, lo scopo è trasmettere fluidità e ritmo, facendo sembrare il metallo il più malleabile possibile.

EC – Mi piacerebbe ci parlasse della sua ultima esposizione, Transcendence.

Esiste una connessione con le due precedenti mostre veneziane, Titans e Totem? Sarei curiosa di sapere qualcosa in più sul titolo, il significato che ha per lei e il percorso che ha portato alla realizzazione di questa mostra.

L’esposizione sembra accompagnare, passo dopo passo, il visitatore all’interno della cappella della Chiesa. Iniziando dagli enormi “volti’’ in titanio, che subito impattano lo spettatore, muovendosi poi verso sculture più piccole – dai riferimenti visivi di stampo cattolico e buddhista – ci si fa trasportare all’interno di una sorta di stato meditativo, trascendendo appunto. È corretto affermare che l’esposizione andrebbe vista lentamente, senza fretta, per attraversare uno spazio che possiamo definire metafisico?

WC: Vedo questa esposizione come naturale seguito delle due precedenti, aperte durante Biennale. La prima, Titans, esplorava la relazione tra materia, spazio e tempo. La seconda, Totem, coinvolgeva il pubblico ed era caratterizzata da una monumentale scultura divisa in frammenti. Questa, Transcendence, è un’evoluzione delle tematiche affrontate precedentemente, andando a creare una trilogia che esplora l’idea di spazio. Se osservi le tre mostre insieme, ti accorgi che rappresentano un viaggio nei cambiamenti dello stile di vita che va al di là della materia, rivelando un senso profondo di amore e unità. Questa, per me, è la forma d’arte più alta.

L’intuizione del titolo viene da James Putnam, il curatore, e simboleggia il passaggio da uno stato conflittuale ad uno pacifico, tranquillo. Narra del perseguimento di uno stato meditativo, e di come la menta sia in grado di trascendere i normali confini di spazio e tempo.

Giunti in fondo alla Chiesa si vedono due sculture poggiate sull’altare, a rappresentare la connessione profonda che lega tutte le religioni. Se potessi desiderare qualcosa, vorrei che questa esperienza facesse riflettere lo spettatore, facendolo sentire in qualche modo trasformato.

Penso che ognuno di noi interpreti in maniera diversa lo spazio e il tempo. Tutti dovrebbero mantenere il proprio personale andamento quando si tratta di vivere un’esperienza. Non sta a me decidere se questa debba durare un minuto o dieci, se è troppo veloce o troppo lenta. Al pari dei metalli, ognuno di noi ha un differente punto di fusione.

Transcendence, exhibition view, Chiesa di Santa Maria della Pietà, Venezia, 2024, courtesy of CASADOROFUNGHER Comunicazione. Photo credit Federico Sutera

EC – Appena mettiamo piede all’interno della cappella, la prima opera che vediamo è la potentissima Transcendence I. È un volto che sembra urlare, ma silenziosamente, in continua evoluzione, come fosse in uno stato conflittuale. A osservarla meglio, però, notiamo diversi piccoli volti connessi gli uni agli altri tramite il metallo. Questi, in un certo senso, riportano lo spettatore in uno stato di serenità.

Le va di parlarcene?

WC: Transcendence I abbraccia l’idea che una volta superate le nostre paure, possiamo trovare la pace. È come il riflesso di noi stessi nell’attimo in cui ci sentiamo ispirati o abbiamo un’epifania. Se le esamini da vicino, la bocca e le cavità oculari della scultura ricordano dei petali aperti. Questo volto “fitomorfo’’ si relaziona all’ultima scultura della serie, Transcendence IV, un largo tulipano dai petali aperti. 

Wallace Chan, Transcendence I, titanio, 2023, Transcendence, Chiesa di Santa Maria della Pietà, Venezia, 2024, courtesy of CASADOROFUNGHER Comunicazione
Wallace Chan, Transcendence I, titanio, 2023, Transcendence, Chiesa di Santa Maria della Pietà, Venezia, 2024, courtesy of CASADOROFUNGHER Comunicazione

EC – Come ultima domanda, vorrei chiederle se in questo momento sta lavorando a qualcosa di nuovo, o se ha progetti (o, meglio, esperimenti) per il futuro.

Quali affascinanti strade prenderà la sua arte?

WC: Quest’estate avrò l’onore di essere il primo artista vivente ad avere una personale allo Shanghai Museum East. L’esposizione vedrà 50 anni di mie creazioni, assieme ad antichi gioielli ed altri manufatti prestati da collezioni dello Shanghai Museum, The Palace Museum, il V&A Museum, Schmuckmuseum Pforzheim e il MET. Non vedo l’ora di mettermi al lavoro e dare vita a questo progetto, condividendolo con il mondo.

Eva Chemello

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