Scrivere con la luce: le apparizioni del quotidiano di Ghirri e Giorgio Morandi, tra fotografia e pittura

Atelier Morandi, Luigi Ghirri, 2024. Credits to Zero.eu Bologna

Dal 25 aprile al 30 giugno 2024, in occasione dei sessant’anni dalla morte di Giorgio Morandi, Palazzo Bentivoglio farà da sfondo alla mostra-dossier dedicata agli scatti che Luigi Ghirri consacrò al celebre pittore bolognese.
Nata dallo sforzo congiunto tra gli Eredi Luigi Ghirri e l’artista Davide Trabucco (che ne ha curato il display a partire dai materiali di un pre-esistente allestimento a cura di Franco Raggi), l’esposizione si propone di abbattere la distanza tra Ghirri e Morandi, e annullare il punto di confine tra fotografia e pittura, con l’obiettivo di interpretare le idiosincrasie e i momenti di convergenza tra due artisti – solo –  generazionalmente distanti.

Luigi Ghirri, Atelier Morandi, Palazzo Bentivoglio, Bologna, 2023. Foto Carlo Favero; credits to The book

La mostra trae le mosse dagli scatti realizzati tra il 1989 e il 1990 all’interno delle abitazioni morandiane: quella di città, al numero 38 di via Fondazza e quella “fuori porta”, presso Grizzana, sull’appennino bolognese, entrambi confluiti nel volume Atelier Morandi (1992).
La potenza figurativa della serie Atelier Morandi è accresciuta dalla collezione permanente di Palazzo Bentivoglio e da quella dell’Archivio dell’artista, a cui è stata affiancata in occasione dell’esposizione.  
Inoltre, gli scatti sono stati adagiati su pannelli disposti secondo un preciso disegno che allude alla planimetria degli ambienti della casa di città del pittore, per accrescerne il carattere d’intimità.

Atelier Morandi, Luigi Ghirri. Credits to Zero.eu Bologna
Atelier Morandi, Luigi Ghirri. Credits to Zero.eu Bologna

Il progetto pone in essere un ricercato “dialogo per immagini” tra Ghirri e Morandi: personalità formatesi ad oltre due generazioni di distanza l’una dall’altra ma accomunate dalla medesima volontà di lanciare lo sguardo oltre il dominio del visibile, al punto di saper cogliere le sterminate combinazioni offerte dalla luce, in pittura così come in fotografia.
Si giunge così a tracciare una geografia sentimentale, in cui gli itinerari non sono segnati e precisi, ma obbediscono agli strani grovigli del vedere. In tal senso, affidate alla forza evocativa del medium fotografico, le nature morte riemergono sotto nuove spoglie o più semplicemente si riappropriano del loro carattere originario, aprendo la strada a un percorso percettivo non privo di implicazioni psicologiche e affettive. 

Atelier Giorgio Morandi, Via Fondazza, Bologna. Luigi Ghirri, 1989-90
Giorgio Morandi, Natura Morta, pre 1959, oil on canvas. 35.5 x 40.6 cm canvas size; 52.7 x 57.1 cm framed; credits to Inglebygallery

La scelta di dare vita a un siffatto progetto arrivò in un momento ben preciso della vita di Ghirri, momento in cui egli dovette sentirsi stanco di guardare il mondo dalla stessa prospettiva degli albori. Si tratta di un’occasione per approfondire, attraverso l’occhio attento del fotografo, alcuni specifici elementi del “fare immagini” di Morandi.
Esiste infatti una corrispondenza significativa tra le visioni dell’uno e quelle dell’altro, che prende le mosse da un’intima volontà di interrogare gli oggetti che attendono di essere colti sotto la loro vera luce. Questa volontà allude a una purezza investigativa dello sguardo che, ponendosi come il principio e il fine della febbrile sperimentazione dei due creatori, genera risultati inattesi.
Ciò è reso possibile grazie ad un uso sapiente della luce, quale unico strumento d’indagine della realtà designato ad interpretare i luoghi e gli oggetti contingenti che popolano l’universo del quotidiano, al punto che paesaggio interiore ed esteriore procedono di pari passo e appaiono sottoposti alle medesime leggi.
Evocando percorsi diversi da quelli convenzionali, Ghirri si sofferma sulla «pratica di uno sguardo meno affrettato» tanto cara a Morandi, e chiama il visitatore alla contemplazione di luoghi e di forme solo apparentemente di poco conto, che rivendicano un loro posto nel mondo.

Questa contemplazione (che è anche una riappropriazione d’identità) si rivela come momento necessario per entrambi in quanto, proprio attraverso lo sterminato repertorio di suppellettili polverosi e dismessi, è possibile pervenire a una raffinata forma di conoscenza, fondata su una cartografia imprecisa che riguarda più la percezione di un luogo, che non la sua mera catalogazione.

Foto di Luigi Ghirri, Conversazione con Lucio Dalla, credits to Galleria de’ Foscherari, Bologna

Per questa ragione in Atelier Morandi non solo le opere d’arte si fanno oggetto di studio, ma anche lo spazio del vivere e – non da ultimo – la percezione stessa: premessa basilare e cifra stilistica dell’intera poetica morandiana.
A tal proposito, Ghirri confessa di sentirsi profondamente affine a Morandi per aver portato l’attenzione su una realtà di secondo grado (la stessa realtà «fuori dallo sterminato emporio del moderno» che aveva ispirato i suoi lavori). Per fare ciò egli si insinua negli spazi sottotraccia, investendo di luce gli oggetti, i luoghi e i volti incontrati per caso che aspettano semplicemente che qualcuno li guardi.

Casa Morandi, Grizzana. Credits to arte in
Giorgio Morandi, Natura morta, 1948-1949, olio su tela. 26 x 35 cm, Collezione Carmen ThyssenInv. NO. (CTB.1999.25), credits to THYSSEN-BORNEMISZA museo Nacional

Nella topica proposta da Ghirri si può scorgere un vero e proprio tentativo di leggere le opere di Giorgio Morandi attraverso la fotografia, dando luogo ad uno strano gioco di rimandi metavisivi che instradano la pittura morandiana in una “direzione fotografica” mai intrapresa prima d’allora. Del resto, Luigi Ghirri non aveva mai mancato di sottolineare i suoi legami sentimentali – oltreché geografici – con il maestro, nel quale riconosceva un fotografo ante litteram.
A ben vedere la visione morandiana appartiene a un canone stilistico – al quale lo stesso Ghirri dichiara di aderire – che, partendo da Piero della Francesca, passa attraverso Paul Cézanne e giunge ai giorni nostri.
Scrivere con la luce: quella che è, a ben dire, l’essenza della fotografia, Morandi lo faceva in modo esemplare nelle sue nature morte, ricorrendo a dei procedimenti che, per quanto rudimentali, erano definibili come proto fotografici. Basti pensare ai ripiani su cui collocava i suoi barattoli, o a quella precisa tecnica messa a punto per schermare la luce durante le sessioni di pittura che avvenivano prevalentemente al chiuso, tra le pareti dello studio domestico.
Alla stessa maniera, Ghirri realizzava fotografie nei pressi della sua abitazione reggiana, cercando spesso la presenza di quelle nebbie e di quelle luci che rendessero più rarefatte e quasi impalpabili le apparizioni delle cose. D’altro canto, la scoperta ha sempre a che fare con la percezione e con la capacità di vedere: è la stessa luce che conferisce materialità e colore al mondo e può perfino arrivare a rendere le cose evanescenti, fino a farle scomparire.
In fondo, in ogni visitazione dei luoghi, portiamo con noi questo carico di “già vissuto e già visto” ma lo sforzo che siamo portati a compiere è quello di ritrovare lo sguardo che cancella e dimentica l’abitudine; ciò non tanto per rivedere con occhi diversi, quanto per la necessità di ritrovare la capacità di sapersi orientare di nuovo nello spazio e nel tempo. 

Luigi Ghirri, Il molo di Trieste, 1980, courtesy of Eredi Luigi Ghirri, credits to Zero.eu Bologna

Marie-Regine Dongiovanni

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